Una certa idea del bello e del saper vivere, una sera a Milano
Portoghesi e Portaluppi, gran lectio di riaccreditamento per architetti e politica
Milano. Ammettiamo di essere entrati prevenuti in Santa Maria delle Grazie, lunedì sera, per la lectio magistralis di Paolo Portoghesi su Piero Portaluppi, di cui ricorrono in queste settimane i centotrenta anni dalla nascita. Il pronipote Piero Maranghi, direttore della fondazione istituita vent’anni fa in memoria del maestro dell’architettura eclettica, in ideale (e provvidenziale) apertura della Design Week ha organizzato una mostra e una serie di celebrazioni al tempo stesso astute e affettuose, di cui il momento clou è stata la lectio nella chiesa simbolo dell’alta borghesia milanese, restaurata dallo stesso Portaluppi dopo la guerra lasciando nel presbiterio quello che la famiglia ritiene il segno personale di una piccola pietra in malachite Challant, feudo aostano della contessa Bianca Maria decapitata nel 1526 nel Castello Sforzesco come mandante dell’omicidio di un amante - come da racconto di Matteo Bandello.
Foto via fondazione Piero Portaluppi
Sulle brutte sedioline di plastica che deturpano lo splendore cromatico e prospettico del Bramante eravamo convinti di trovare gli ultimi cascami della Milano craxiana che ogni tanto incontriamo alle cene più agé in preda ad esaltanti e tormentosi ricordi sulla Milano da bere e sul pugno di ferro di Sigonella. E invece no. Tolti due o tre dei suddetti, la platea era eminentemente tecnica. Poli-tecnica, se ci passate la battuta. Moltissimi i giovani; individuabile perfino qualche modaiolo, come si conviene per un settore che, nella sua cultura di facciata, ha scoperto Portaluppi l’altro ieri, grazie al film di Guadagnino “Io sono l’amore” e alle presentazioni delle scarpe Tod’s di Diego Della Valle, affezionatissimo affittuario della Villa Necchi Campiglio a cadenza semestrale. Quando Portoghesi, con il passo malfermo dei suoi venerabili ottantasei anni ma con i capelli ancora lunghi dei seducenti trenta, ha esordito citando Gadda (“per essere un buon architetto bisogna essere un buon cittadino e avere un’anima profondamente sensitiva”) abbiamo capito di assistere non a una – splendida, e non poteva essere altrimenti – lezione, ma a un processo di riabilitazione e accreditamento binario di cui l’autore dell’Adalgisa, cugino primo di Portaluppi, era il perno.
La Moschea di Roma di Paolo Portoghesi (foto via Wikipedia)
Da una parte Portoghesi, architetto del craxismo e della sua apertura di credito all’islamismo moderno, con la costruzione della grande moschea di Roma; dall’altra Portaluppi, interprete vicino benché non sottomesso a Mussolini, come peraltro tutta la borghesia milanese che contribuiva a far vivere con eleganza e che ostentò la propria distanza dal fascismo solo dopo piazzale Loreto, finendo dunque e inevitabilmente per premiare Gio Ponti, l’interprete della ricostruzione e del design “di servizio”. Portaluppi, che alla città ha dato un volto e che, come tutti i gran signori, si prendeva molto meno sul serio (con gli intimi si firmava “don Pedro Puertalocas” in uno spiritoso traslato traduttivo), finiva invece per cadere nell’oblìo. Portoghesi non ha mai mancato di sottolineare quanto il suo spirito iconoclasta e la sua autoironia meritino una contestualizzazione nuova e attenta: nei giochi di parole sul disegno di un grattacielo a New York per la fantomatica società S.K.N.E. (“scàppane”), per esempio, oppure nei blocchi residenziali del quartiere di Allabanuel, che letto al contrario rivela la propria natura (lèunaballa), e persino nel ribaltamento dei codici architettonici destinati all’industria, che trasformano la centrale di Crevoladossola disegnata per il magnate dell’elettricità Ettore Conti di cui aveva sposato la nipote, Lia, un capolavoro eclettico che riesce a richiamare Sant’Ivo alla Sapienza del Borromini nella torretta a pagoda, leggiadra, senza perdere mai in funzionalità.
Che cosa temesse davvero Portaluppi del futuro dell’urbanistica, e forse anche della politica, si percepisce nel progetto di una città fantastica e fantasma, declinazione urbanistica delle prigioni di Piranesi, per la quale Portoghesi evoca l’inferno del “collettivismo esasperato”. Ed è a questo punto che, dal collegio 1 di Milano riunito temporaneamente fra le navate di Santa Maria delle Grazie, sembra levarsi un sospiro, ed è in questo momento che l’architetto principe della Prima Repubblica chiude, e raccoglie gli applausi. Dagli ultimi banchi si levano marito e moglie già entrati nella terza età. Carini, composti. Lei tace, sospira lui: “Io me lo ricordavo un bell’uomo, Portoghesi”.
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