Uwe Tellkamp

“Dittatura morale”

Giulio Meotti

L’astro letterario tedesco Uwe Tellkamp nella bufera per le critiche all’immigrazione. “È la talebanizzazione della società”

Roma. È nell’ultimo numero della rivista Cicero che Alexander Grau fa detonare il paradosso: “Nel nome di valori liberali come tolleranza e libertà di espressione, si è sempre più intolleranti e si limita la libertà d’espressione. Uwe Tellkamp si lamenta di un ‘corridoio morale’ e viene punito. Quello che è successo negli ultimi mesi in questo paese è allarmante. A volte si ha l’impressione che si debba salvare la libertà dal liberalismo”. Si parla ovviamente del maggiore scrittore tedesco della sua generazione, Uwe Tellkamp, autore del grande Bildungsroman di mille pagine sulla Ddr, “La torre” (Bompiani). A Dresda, in una conversazione con il poeta Durs Grünbein, Tellkamp, vincitore di tutti i premi che contano, aveva detto che il novanta per cento degli immigrati non è composto da rifugiati ma da “migranti economici” e che in Germania esiste un un “corridoio etico” in cui opinioni come la sua sono “solo tollerate” e si rischia la “dittatura morale”. Apriti cielo.

 

L’editore di Tellkamp, Suhrkamp, lo scarica, Tellkamp annulla i tour dei romanzi e la stampa ne fa un lebbroso. Ma ora arrivano anche i difensori. Su Handelsblatt di questa settimana, il pittore Neo Rauch lamenta la “talebanizzazione della società” e si dice solidale con Tellkamp. Sulla Zeit, Ulrich Greiner scrive che ormai “l’arma più forte nella disputa è l’accusa di essere di destra”. Tellkamp è un astro della “cultura Suhrkamp”, come George Steiner nel 1973 ebbe a definirla sul Times Literary Supplement, la casa editrice che ha plasmato il panorama culturale tedesco, incidendo a fondo nella vita spirituale della nazione ma che, pur rappresentante dell’intellighenzia progressista, aveva sempre evitato di appiattirsi sull’ortodossia, pubblicando cani sciolti come Thomas Bernhard. Ora c’è chi la chiama Stasi Verlag, in riferimento alla polizia segreta della Ddr che reprimeva ogni dissenso.

 

“Tellkamp ritiene che dopo gli incidenti di Dresda non sia possibile eseguire letture pubbliche”, ha detto il suo agente. Lo scrittore è sostenuto dalla collega Monika Maron. Il comportamento dell’editore, ha detto Maron alla Faz, è una “mostruosità” e “se dici apertamente la tua opinione in Germania sei minacciato di ostracismo”. Già Rolf Peter Sieferle, lo storico suicida che non a caso post mortem aveva gettato nell’arena culturale la bomba a mano di Finis Germania, era stato eliminato dalla classifica dei libri dello Spiegel. Con l’articolo Der letzte Deutsche, l’ultimo tedesco, i supplementi letterari hanno fatto del drammaturgo Botho Strauss una persona non grata. Senza considerare Christian Thielemann, che avrebbe dovuto essere nominato direttore della Berliner Philarmoniker, primo tedesco dopo Wilhelm Furtwängler. Ma l’accusa di essere un “razzista islamofobo” gli è costata il posto a favore di Kirill Petrenko. “Come capo dei Filarmonici, Thielemann non è politicamente sostenibile”, aveva sentenziato la Berliner Zeitung. I Berliner in segno di protesta avevano affisso un poster nella sala da concerti: “Un’orchestra, quattro religioni”. Colpevole, Thielemann, di aver definito il movimento antislamista Pegida “non una malattia ma un sintomo” della crisi “di valori su cui si fonda la nostra comunità”.

L’intellettuale di rango Frank Böckelmann, direttore della rivista Tumult, l’ha chiamata tirannia “ipermorale”, un pensiero debole, debolissimo, ma che ormai spadroneggia come una autocrazia.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.