L'isola degli incanti
Un grande viaggio nella Sicilia della luce e dei colori affidato agli acquerelli di Fabrice Moireau. La “cedevole scambievolezza delle tinte” già tanto amate da Goethe in bella mostra a Roma
Quando, anni fa, ebbe l’idea di iniziare a dipingere i tanti tetti di Parigi in ardesia dagli inconfondibili colori blu e grigio, quelli che spesso – come diceva Baudelaire – “vanno a confondersi con un cielo che pesa come un coperchio sulla città”, Fabrice Moireau era ben lontano dal pensare che ci sarebbe riuscito. Classe 1962, originario di Blois, piccola cittadina del centro-valle della Loira grande come tre arrondissements della Ville Lumière, per diversi anni suonò alle porte, osservò, disegnò, fece finta di abitare negli edifici inerpicandosi a caso qua e là con lo sguardo in bilico e la vertigine in agguato. Il risultato di questo lungo lavoro fu un libro, I tetti di Parigi (L’Ippocampo editore), negli anni divenuto un bestseller anche perché, grazie ai suoi acquerelli, Moireau riuscì a mostrare sotto un’altra luce i monumenti celebri, i luoghi pubblici e anche gli angoli meno conosciuti di quella città sempre al centro dell’attenzione, introducendone però visioni e scorci inediti.
Dopo “I tetti di Parigi” il pittore francese è andato in Sicilia. “Ogni posto visitato nei due anni che sono stato lì, mi ha emozionato”
A distanza di anni, ha deciso che la sfida doveva continuare e ripetersi in qualche modo, ma questa volta in Italia, in Sicilia, un’isola nei confronti della quale ha provato sempre una forte attrazione sin da quando era bambino. Con i suoi “compagni di viaggio” – uno zaino in spalla, pennelli, matite, tavolozza, fogli bianchi e uno sgabello pieghevole – è partito alla volta di quel posto magico, pieno di luce, bellezza e contraddizioni, un po’ come fece Johann Wolfgang von Goethe, che nel 1787 arrivò nel nostro paese percorrendolo in lungo e in largo fino ad arrivare anche in Sicilia. “E’ in Sicilia che si trova la chiave di tutto”, scrisse l’autore tedesco nel suo celebre Viaggio in Italia. “La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra: chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”.
Parole, le sue, di cui Moireau ha fatto tesoro andando a perlustrare le vedute di alcune riserve naturali, la bellezza del mare di Agrigento, città come Ragusa e Catania, le saline della laguna dello Stagnone a Mozia, fra Trapani e Marsala, i numerosi castelli, le case di Sciacca, gli scorci dei siti Unesco, la Valle dei Templi fino alle chiese barocche della Val di Noto, tracciando un itinerario lungo e colorato nella Sicilia più intima. Quel che ne è venuto fuori è “Sicilia, il Grand Tour”, una mostra realizzata dalla Fondazione Cultura e Arte in collaborazione con la Fondazione Federico II che va a raccogliere i suoi acquerelli più significativi e che, dopo essere stata ospitata al Palazzo Reale di Palermo – la città che colpì proprio Goethe (e non soltanto lui) per “la purezza dei contorni, la soavità dell’insieme, il degradare dei toni, l’armonia del cielo, del mare, della terra” – è arrivata anche a Roma. Nel bel Palazzo Cipolla in via del Corso, fino al 22 luglio prossimo potrete ammirare da vicino quasi quattrocento opere concesse dalla Fondazione Dragotto, un nuovo percorso che l’arte di Moireau, accompagnata dai racconti del magistrato Lorenzo Matassa – un po’ come fece Goethe, ma al contrario, usando le illustrazioni di Christoph Heinrich Kniep – è riuscito a fare al meglio due secoli e mezzo dopo.
“Sono trent’anni che giro per il mondo e quello che faccio non è altro che osservare e poi disegnare quello che vedo”, ha spiegato l’artista francese alla vernice romana. “La Sicilia – aggiunge – è unica: è un piccolo continente con paesaggi e persone straordinarie come i siciliani, speciali a loro modo perché pensano in maniera filosofica. Ogni posto visitato, abitato e vissuto nei due anni che sono stato lì, mi ha emozionato e lasciato dentro ricordi che sono difficili da dimenticare”.
Guardando tutti quegli acquerelli insieme, tra scorci naturali e isole minori, il celebre teatro greco di Taormina, il tempio di Segesta o una cattedrale come quella di Monreale, descritta con un’attenzione minuziosa, si è rapiti da cotanta bellezza e la prima reazione che si ha, è desiderare di prendere un aereo o un treno e partire per raggiungere quei posti e vederli finalmente da vicino, soprattutto adesso che l’isola è ancora più al centro dell’attenzione grazie anche al suo capoluogo che è l’attuale Capitale italiana della cultura.
“Quegli acquerelli rivelano una terra piena di luce e di meraviglie, di valori, di tensioni e contraddizioni che non vanno mai dimenticate”, spiega al Foglio Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II, che dal 1996 valorizza con grandi risultati il patrimonio culturale della Sicilia e dei suoi artisti. “Portare una mostra come questa a Roma – precisa – è un’operazione culturale, un invito per tutti i siciliani a riscoprire la bellezza e i valori della propria terra che ha tante contraddizioni che la caratterizzano, questo è vero, ma, soprattutto – non dimentichiamolo – un alto valore culturale ed etico che va mantenuto, difeso e promosso”.
Dalla Sicilia, il Grand Tour risalirà l’Italia per fare tappa a Milano e poi a Bruxelles, “un percorso espositivo che è una vera e propria poesia”, lo definisce il professor Emmanuele F. M. Emanuele, presidente onorario della Fondazione Cultura e Arte: “Un inno all’isola che indusse Federico II di Svevia ad affermare che era a tal punto felice di vivere in Sicilia da non invidiare a Dio il Paradiso. E’ un viaggio nella memoria – continua – un’immersione nei luoghi, negli scorci, nei paesaggi più belli e suggestivi della mia terra natia”.
Patrizia Monterosso: “Quegli acquerelli rivelano una terra piena di luce e di meraviglie, di valori, di tensioni e contraddizioni”
Soffermandovi a guardarli uno dopo l’altro e dando loro la giusta attenzione, noterete che in quegli acquerelli il paesaggio prende forma con macchie di colore, tonalità calde e avvolgenti, tagli di luce e ombre di grande effetto. Alle vedute classiche si alternano altre meno conosciute, dove è il singolo dettaglio a fare la differenza: dalle vecchie case a Gangi alle espressioni dei pescatori nel porto di Palermo, dai pomodori secchi a uno dei simboli dell’isola, i fichi d’india, dai colori pastello più chiari della spiaggia di Mondello fino a quelli più scuri della riserva dello Zingaro. Sono notevoli questi paesaggi marini dove il colore del mare riflette l’emozione istantanea dell’artista, sfumando dal blu intenso al celeste, dal verde al cristallino, spesso “macchiato” dai colori di un tramonto a volte tumultuoso altre ribollente. Le montagne sono variopinte e c’è l’Etna con le sue colate laviche; ci sono i terreni ubertosi e le vie, le piazze e le scalinate, le case dei poveri e quelle dei potenti, dai primi sognate e ammirate solo dall’esterno. E, ancora, ci sono i cieli limpidi e quelli più nuvolosi, un ensemble che è “il mondo siciliano di Moireau”, che da straniero in quella terra è riuscito a farci scoprire e apprezzare ancora di più una Sicilia che è lo specchio dei suoi abitanti, eternamente combattuti fra due opposti, tra l’amore e l’odio, l’amicizia e l’inimicizia, il sentimento e la passione, la ragione e il sogno, la credulità e la diffidenza, l’ingenuità e l’astuzia. Sicilia, il Grand Tour è anche un libro pubblicato in quattromila copie dalla Fondazione Tommaso Dragotto, un grande progetto multiculturale arricchito da un racconto del magistrato e scrittore Matassa che, con le sue parole – così come ha fatto Moireau con i suoi disegni – è riuscito a cogliere e a descrivere al meglio lo spirito di quei luoghi.
Non è vero, dunque, come si legge nel Gattopardo che in Sicilia tutto cambia perché tutto rimanga com’è, perché negli ultimi anni quasi tutto è cambiato. Ciò che resta immutato sono i suoi monumenti e il suo mare, il Mediterraneo, “quello da cui tutto ha avuto inizio”, conclude Emmanuele Emanuele, “quello che ha consentito l’osmosi tra le civiltà e il dialogo tra le genti”. Un mare che non è così ostile come si dipinge, ma che può diventare un’area capace di consentire il colloquio tra le genti.