Tom Wolfe

L'uomo che osava scrivere

Tom Wolfe, gentiluomo del sud che castigava Darwin e votava Bush, ha passato una vita nel salotto dei liberal senza farsi inghiottire. Un contrarian cresciuto nell’ethos degli anni Cinquanta

New York. L’ultimo libro di Tom Wolfe, una febbrile requisitoria contro Darwin, Chomsky e tutto il plotone del riduzionismo materialista, si conclude così: “Dire che gli animali si sono evoluti e hanno originato l’uomo è come dire che il marmo di Carrara si è evoluto ed è diventato il David di Michelangelo”. Wikipedia dice che la sua visione non evoluzionista sullo sviluppo del linguaggio è “un’opinione non sostenuta da ricerche scientifiche”, anche se il libro Il regno della parola ha il pregio di dimostrare che il consenso darwinista è stato creato a forza di distillare opinioni senza il sostegno certo di prove scientifiche. Il fatto è che le tesi di “Charlie” s’accoppiavano a meraviglia con il positivismo ateo dell’élite inglese dell’epoca.

 

Wolfe lo aveva capito tempo addietro che “soltanto un primitivo crederebbe a una parola” di quello che c’è scritto su Wikipedia (fonte dell’aneddoto: Wikipedia), ma aveva capito anche che sarebbe stato eternamente frainteso e tirato per la giacca bianca, almeno quando scriveva di certi argomenti. Adesso che Wolfe è morto, a 87 anni in un ospedale di Manhattan, dov’era stato ricoverato per una infezione, viene facile mettere insieme sagaci storie sulle pantere nere che scorrazzavano per la casa di Leonard Bernstein o raccontare di quando la crew di Andy Warhol girava attorno alla gang di surfisti che lui aveva deciso di raccontare, e da New York tutti gli dicevano muoviti a scrivere che ti rubano tutto; viene facile accatastare episodi e fare un falò delle qualità dello scrittore che ha inventato il new journalism e gli ha dato anche un nome.

 

Più complicato ammettere l’esistenza dell’intellettuale che negava l’evoluzionismo. Lo faceva con argomenti e scrittura assai più convincenti di quelli di un pastore creazionista del Mississippi, ma di solito certe idee squalificano automaticamente chi le pronuncia dal consesso dell’umanità rispettabile, anche se il packaging è irresistibile. Wolfe è stato sempre un invitato e invidiato d’onore (come mostrano certi passaggi velenosi di Norman Mailer: “Ha combinato un matrimonio fra il suo grande talento e i soldi veri”) al ballo delle chattering class, e s’è immerso senza difficoltà nella mondanità altolocata dell’Upper East Side che non gli apparteneva per diritto di nascita, lui che fin dall’abito bianco si manifestava come impenitente gentiluomo del sud, ma era anche un vero conservatore e contrarian che aveva aggredito lo scientismo militante nel memorabile saggio Sorry, but Your Soul Just Died, e con voluttà sosteneva George W. Bush quando tutto il suo mondo minacciava, coprendosi di ridicolo, una fuga in Canada, lontano dal guerrafondaio.

 

 

Bush senior gli aveva scritto una lettera, nel 2005, pregustando il momento in cui lui, Barbara e Tom si sarebbero seduti attorno a un tavolo a commentare come “l’intellighenzia e i liberal da salotto hanno reagito all’elezione di nostro figlio”. Era disallineato dal pensiero liberal eppure perfettamente a proprio agio nei suoi rituali. Negli archivi conservati alla Public Library di New York si trovano lettere di devota ammirazione letteraria di Giangiacomo Feltrinelli e di solidarietà politica di Richard Nixon. In un invito alla festa di Natale, Jackie Kennedy aveva fatto un’aggiunta di suo pugno, con l’inchiostro rosso: “Poi per favore fermati a cena”. Ha dichiarato di non avere mai usato lsd e di avere provato la marijuana soltanto una volta, segni di un legame con l’ethos degli anni Cinquanta che poi altro non erano che il paradiso del conformismo della silent generation, che non aveva bisogno di sbraitare perché l’America era ancora great. L’immaginario di Trump è ancorato da quelle parti, e Wolfe ha predetto in molti modi l’emersione di una figura simile dall’insostenibile correttezza dell’oggi. Wolfe è stato un dei rarissimi esempi di scrittore affermato per cui cui i lettori conservatori non hanno dovuto operare la solita distinzione fra estetica ed etica, fra arte e politica, e anche per questo mancherà.                                              

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