Quella convocazione a cena da Philip Roth che fece sudare come non mai Jonathan Franzen
Il giovane e il vecchio, come ne “Il fantasma esce di scena”. L’unico, glaciale incontro con l’idolo letterario in un ristorante
Non c’è cosa che un anziano maschio disprezzi di più della forza vitale di un giovane. Se colleghi, ancor di più. Se scrittori, figuriamoci. Lo sosteneva Philip Roth, in uno dei suoi romanzi più da camera, eppure per noi uno dei più perfetti. "Il fantasma esce di scena" racconta dell’ennesima trasfigurazione di uno dei suoi eroi, Nathan Zuckerman, il più somigliante all’Autore. Nathan Zuckerman, celebre appartato scrittore, torna a New York dopo molti anni; se n’era andato in seguito ad alcune minacce ricevute, aveva trovato una casa in campagna, a nord, ci si era trasferito in regime quasi monacale. Torna per curarsi inutilmente le conseguenze del tumore alla prostata e si imbatte nel post-Bush. (E’ uno dei romanzi più belli e precisi sull’America bushiana, e Roth riesce a raccontarcela parlando della sua prostata: basterebbe questo per contrastare i tapini che per anni hanno protestato contro la sua prostata, che rimane un personaggio molto più interessante di molti umani letterari. E Roth con la sua scrittura avrebbe comunque potuto mettere al centro della sua narrativa anche ghiandole meno rilevanti). Zuckerman dunque va in ospedale, torna a cena nel suo ristorante preferito italiano, il pane e la pasta son gli stessi, qualcuno è morto (è un romanzo sulla morte), trova sul New Yorker un annuncio di una giovane coppia che vuole far cambio-casa, terrorizzati dalla vita dell’America post 11 settembre vogliono scappare in campagna, lui forse vuole scappare alla campagna e tornare alla vita.
Conosce la coppia, la coppia crea ulteriori appetiti vitali, e fornisce un amico di lei che – orrore – vuole scrivere una biografia su quello che era stato il maestro di Zuckerman, morto misteriosamente anni prima (già protagonista di Lo scrittore fantasma). Il biografo è un muscoloso ragazzotto che sprizza voglia di vita e di lettere da ogni muscolo, e per Roth o almeno per Zuckerman la gioventù insieme col biografismo sono chiaramente il male assoluto. C’è una scena di loro due a Central Park, il vecchio col suo pannolone e il giovane con i suoi shorts muscolari. Il vecchio non è collaborativo, il giovane lo pugnala così: “tu puzzi, vecchio”, ed è qualcosa come la puzza della morte.
Jonathan Franzen non l’aveva mai letto, Il fantasma esce di scena, e qualche mese fa quando si andò a trovarlo a casa sua in California si finì a parlare proprio di lui, di Roth, e a consigliargli, consapevoli della mitomania, quel libro. Ci si arrivò da un discorso, a microfoni spenti, quando Franzen affabile e delizioso, con la cortesia nascosta tra le mille manìe difensive, ci chiese: com’è andata? Nel senso, quest’intervista. Non va sempre bene infatti quando si incontra un proprio idolo letterario, disse. E non è forse tanto di buon gusto ricordarlo oggi, si fece infatti promessa di riserbo, ma un po’ l’oggetto del nostro comune amore è morto, dall’altra parte l’età del narcisismo e della fine della vergogna ci impongono di partecipare anche a noi a questa celebrazione, pena la non esistenza. Perdonaci, Philip, e perdonaci, Jonathan, son tempi così.
Franzen citò dunque Roth nell’ambito di incontri con idoli letterari che non erano andati molto bene: e le circostanze erano sommamente franzeniane e comiche. F. stava lavorando a una micidiale sceneggiatura del suo romanzo appena uscito e che l’aveva reso celebre (celebre e giovane), le “Correzioni”. Era il “giovane scrittore” del momento, con copertine, talk show, successo. Roth lo convoca a cena, gli fa la cortesia di prenotare un ristorante in un posto vicino alla riunione di sceneggiatura di F, F ansioso ed emozionato per l’incontro con l’anziano maestro viene però trattenuto da questa riunione interminabile – interminabile come sa chiunque abbia partecipato a qualunque progetto televisivo, caffè nei bicchierini di plastica e chiacchiere inutili, tipo da Settembrini. Il regista sconosciuto e molesto, alle rimostranze dello scrittore che deve scappare, grugnisce: “Jonathan, chi cazzo è questo Roth? Guarda che qui stiamo facendo televisione con la t maiuscola”. Franzen esce dall’ufficio in forte ritardo, corre, recupera sudando mostruosamente, salta sulle macchine, alla fine si presenta al ristorante con soli 8 minuti di ritardo, l’autore di Pastorale è cortese ma freddo, dice “dovremo vederci a cena spesso”, e poi non lo chiamerà e non lo vedrà mai più. Forse lo voleva solo studiare. Il suo romanzo rothiano preferito, ci disse Franzen, era Il teatro di Sabbath (anche il nostro). Mentre trovava, sconvolgendoci, Pastorale lungo e sopravvalutato (e il Fantasma esce di scena venne pubblicato dopo qualche anno da quella seratina, nel 2007).