Paolo Villaggio (foto LaPresse)

Sarebbe stato meglio risparmiare a Paolo Villaggio l'umiliazione del volume postumo

Mariarosa Mancuso

Lo avrà pure scritto un'icona del cinema italiano, ma è un concentrato di saccente banalità

Non pare il momento per infierire sui caratteri nazionali italici, tormentone che dura dai tempi di Giacomo Leopardi. Non sono state tratte da allora conclusioni definitive: per quanto seriamente parta il dibattito, finisce sempre in un film di Alberto Sordi. Non nel senso di Nanni Moretti, che urlava “ve li meritate i film di Alberto Sordi” come insulto a cavallo tra cinema e politica. Nel senso che Alberto Sordi era un genio, certe cose le aveva capite meglio degli altri. Mai comunque sarebbe arrivato alle acrobazie di questi giorni, attendiamo da un momento all’altro il varo di un “Ministero delle Camminate Sceme” made in Monty Python.

 

Fuori dalla politica, un carattere nazionale particolarmente spiace. La mania dei comici (anche bravi o bravissimi) di togliersi lo sfizio della serietà. Lavorare con un regista serio, scrivere un libro che non faccia ridere, uscire dal personaggio che li ha resi famosi. Famosi senza raccomandazione, perché il personaggio era geniale (quindi non si capisce la smania di calpestarlo e liberarsene).

 

Paolo Villaggio si era lasciato trascinare da Federico Fellini – il film era “La voce della luna”, dal “Poema dei lunatici” di Ermanno Cavazzoni – ricavandone un Leone d’oro alla carriera. Sarebbe stato meglio puntare su un bel Meridiano Mondazzoli – essendo Rizzoli l’editore storico – con tutti i racconti che hanno per protagonista Fantozzi rag. Ugo (con la presente ci candidiamo per la cura e la prefazione). E risparmiargli l’umiliazione del volume postumo, appena pubblicato da La nave di Teseo con il titolo “Italiani brava gente… ma non è vero!”.

 

Il titolo già assomma due errori. I puntini di sospensione che sono la morte di qualsiasi scrittura – come lanciare il sasso e ritirare la mano, lasciateli ai poeti della domenica vincitori del Premio Speciale Profumo degli Anemoni (esiste, con tutte le sue maiuscole). E la spiegazione dei puntini medesimi. Ovvero: lanciare il sasso, ritirare la mano, andarsi a riprendere il sasso e seppellirlo in terra. Perché dovremmo comprare un libro da gente tanto indecisa? Unica risposta possibile: così sono scritti i post su Facebook, non spaventiamo i potenziali lettori con un titolo che potrebbe stare sulla copertina di un libro.

 

Comunque c’è scritto Paolo Villaggio, la curiosità è venuta pure a noi che sappiamo quanti delitti si possano commettere per avere un volumetto da mandare in libreria in occasione dell’anniversario (dal 3 luglio scorso siamo senza Fantozzi, ormai lo scrittore e il personaggio coincidono). Questo raccoglie chiacchiere da treno, se ancora si facessero chiacchiere sui treni. Lo avrà pure scritto Paolo Villaggio, ma è un concentrato di saccente banalità. Non è offensivo, anche Omero qualche volta dormicchiava, figuriamoci se qualcuno ti mette a disposizione spazi per svolgere un tema a piacere, dai mezzi pubblici infrequentabili perché gli italiani puzzano, a Dio che dovrebbe stramaledire il petrolio. E via con la mafia, i migranti, i proverbi che si contraddicono, i pacifisti rissosi, il colesterolo, i turisti che arrivano e le cicogne che scappano.

 

Prefazione e postfazione sono attribuite al ragionier Fantozzi, e mai si sono viste imitazioni fatte peggio – Paolo Villaggio quando era in forma non aveva rivali. Però si poteva rileggere, prima di stampare. A pagina 7 il ragioniere dice di non leggere neppure le pagine sportive dei giornali sportivi. A pagina 8 dice di leggere solo le pagine sportive e la cronaca nera. Ps.: Fantozzi non sa di essere inseguito dalla nuvola dell’impiegato. Noi – e il narratore – lo sappiamo. Se lo sapesse anche lui, non sarebbe Fantozzi.

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