Al Premio Strega esplode la sagra della “cinquina al femminile”
Si grida al miracolo se tre donne sbarcano in finale nel più famoso premio letterario italiano. Ma deve vincere il libro migliore, al di là del genere dell'autore
Ieri è finalmente avvenuto lo spoglio dei voti a Casa Bellonci e si è delineata l’attesa cinquina del Premio Strega. La prima a classificarsi con 256 voti è Helena Janeczek, con il romanzo “La ragazza con la Leica” (Guanda), giunto alla sua settimana edizione. Secondo Marco Balzano con “Resto qui” (Einaudi), 243 voti. Dei primi due si sarebbe detto quasi ad occhi chiusi che avrebbero passato il turno. La terza è Sandra Petrignani che prende 200 voti con il suo ritratto di Natalia Ginzburg, “La corsara” (Neri Pozza); quarta è Lia Levi con “Questa sera è già domani” (Edizioni e/o) e ben 173 voti (la Levi è già vincitrice del Premio Strega Giovani), mentre ultimo arriva Carlo D’Amicis, che con il suo romanzo dedicato al piacere dal titolo “Il gioco” (Mondadori) prende 151 voti.
Non ce l’ha fatta per pochissimo Francesca Melandri con “Sangue giusto” (Rizzoli), e resta fuori, con soli 115 voti, anche Yari Selvetella, nonostante il suo doloroso e toccante “Le stanze dell’addio” abbia avuto un bel successo di pubblico e di critica.
Il dado è tratto, la cinquina è questa. Qualcosa che balza all’occhio? Ah, sì, ci sono tre finaliste su cinque, praticamente la maggioranza. Ed è a questo punto che esplode la sagra della “cinquina al femminile”; qualcuno, già nel titolo di apertura, annuncia “Ci sono tre donne in cinquina!”, qualcun altro scrive “Cherchez la femme, occorre trovare la vincitrice donna”. Eh sì, in questo mondo non di ladri ma di maschi ora ci serve proprio (ci serve, attenzione) una vincitrice donna. No, non serve. Serve che vinca il libro migliore, al di là che sia stato scritto da una donna o da un uomo. Perché se in finale ci fossero stati, che so, cinque uomini, o tre uomini e due donne, si sarebbe parlato solo di cinquina, mentre se la maggioranza è donna allora ci sembra quasi una cosa impossibile, un evento da ricordare, e siamo lì a sottolineare che “la cinquina è femminile”.
Eppure di donne che si sono aggiudicate il Premio Strega ne abbiamo ricordate, come ad esempio Elsa Morante, che nel 1957 vinse con “L’isola di Arturo”, o Natalia Ginzburg, che vinse nel 1963 con “Lessico famigliare”, o ancora Anna Maria Ortese che arrivò prima con “Poveri e semplici” nel 1967; ma per parlare di classifiche più recenti, basti pensare a Dacia Maraini che vinse lo Strega nel 1999 con “Buio” o Margaret Mazzantini che portò a casa il premio nel 2002 con “Non ti muovere”.
Vero è che il Premio Strega non viene vinto da una donna dal 2003, quando Melania Mazzucco si classificò prima con “Vita”, ma è anche vero che non si può, tutte le volte, gridare allo stupore se una donna arriva in finale.
Vige sempre – e ora più di prima, ça va sans dire – questa fastidiosa e controproducente idea secondo cui la donna deve essere trattata come una sorta di specie in via d’estinzione, sulla quale non è più permesso, oltretutto, scherzare o ironizzare. Tutto è molestia, tutto è offesa (e guai se a dirlo è proprio una donna: “Dobbiamo fare squadra! Dobbiamo essere unite!”). E, di contro, si grida quasi al miracolo se, come in questo caso, tre donne sbarcano nella cinquina del più famoso premio letterario nazionale. No, non è un miracolo. E non è una grazia ricevuta. Le scrittrici donne, tanto quanto i colleghi uomini, sono capaci di intendere e volere, sanno dimostrare il loro talento e gareggiano né più né meno rispetto agli altri concorrenti di sesso opposto.
Perché essere femminista, nel vero senso della parola, significa prima di tutto considerare la donna al pari dell’uomo, stessi diritti stessi doveri stesse capacità potenziali. E allora? Che senso ha la vostra cinquina al femminile? Non ha nulla di femminile, questa benedetta cinquina. È una cinquina e basta. Qualcuno di voi ha mai sentito parlare di una “cinquina al maschile”? No, e perché? Perché è considerato naturale. E se invece in finale ci sono tre donne? Un evento epocale? Assolutamente no.
Ah, dimenticavo: speriamo che sia femmina.