Al cuore dell'ideologia del nazismo
Pubblicate per la prima volta in italiano le memorie del capo della Hitler-Jugend, Von Shirach
Prendete il Mein Kampf di Hitler e leggetelo, se ne siete capaci, dalla prima all’ultima pagina. Constaterete che si tratta di un testo dominato dalla pars destruens e che l’unico elemento davvero approfondito, per quanto riguarda la pars construens, è quello biologico-pedagogico: la costruzione del “nuovo” tedesco, la purificazione della razza e l’educazione di una schiatta di giovani ariani. Lo stato, per Hitler, era infatti solo un contenitore, uno strumento al servizio del popolo-razza, la cui purezza era vitale per la sorte sua e per quella del mondo. Si capisce pertanto il ruolo centrale che, nel sistema nazista, ebbe a ricoprire la Hitler-Jugend. E si comprende il rilievo storico e politico di Baldur von Schirach, che la resse dal 1931 al 1940, anno in cui fu nominato da Hitler gauleiter di Vienna. Condannato a vent’anni di reclusione dal Tribunale di Norimberga, Schirach, liberato nel 1966, compose un’autobiografia dapprima pubblicata a puntate nello Stern e successivamente raccolta in volume. L’opera, però, andò presto dimenticata.
Viene ora proposta al lettore italiano, figurando perciò quasi come un inedito, da Gianmarco Pondrano Altavilla, che l’ha curata e tradotta (Baldur von Schirach, Ho creduto in Hitler, Castevecchi). Un testo prezioso, utile per approfondire la conoscenza di quella che, a un certo punto, divenne una delle più numerose organizzazioni giovanili del mondo, ispirata ai valori comunitari e antimoderni dell’ideologia volkish, reinterpretati in chiave nazista. Si tratta di un’opera importante anche per i ritratti che Schirach offre di alcuni dei maggiori gerarchi nazisti, nonché dello stesso Hitler, al quale sono riservate alcune riflessioni acute. “L’immagine che oggi abbiamo di Hitler”, scriveva Schirach, è quella, riduttiva, di “un tipo volgare, ripugnante già all’apparenza, un piccolo borghese esaltato, un monomane furioso”. Se Hitler fosse stato solo questo, tuttavia, non avrebbe potuto sedurre “un popolo civilizzato” quale era, per alcuni aspetti, quello tedesco degli anni Trenta. In realtà, “l’Hitler efficace e pericoloso che incantava e sottometteva alla sua volontà le masse come i singoli, la gente semplice come quella colta, era l’Hitler dolce, narratore sagace, fervente ammiratore delle belle donne”. Hitler era “l’uomo che il popolo tedesco voleva”. Emerge qui la spinosa questione del consenso dei tedeschi al nazismo, che certo fu in parte indotto dalla potente macchina di propaganda nazista nella quale parte cospicua ebbe Schirach; ma che fu anche, in misura forse maggiore, spontaneo e sincero, come afferma l’autore, il quale, a titolo esemplificativo, ricorda l’incredibile “espressione di giubilo con cui gli austriaci accolsero Hitler” nel marzo del 1938. Le memorie di Schirach si presentano come un libro nel complesso onesto e dal quale si può evincere una revisione critica del passato e delle proprie responsabilità. Schirach non poteva certo misconoscere non solo la sua entusiastica adesione al nazismo, ma anche il suo perentorio antisemitismo. Cercò così di presentare quest’ultimo con tratti più moderati di quelli espressi da fanatici ossessivi come Streicher: operazione del resto tentata da molti nazisti nel dopoguerra. Schirach sottolineò pure, senza ambiguità, la sua corresponsabilità morale nello sterminio degli ebrei. Ma, come il suo ex camerata Albert Speer, compagno di partito e poi di prigione a Spandau, negò ogni partecipazione diretta alla Shoah e affermò di esserne stato all’oscuro sin quasi alla fine del conflitto. Nel caso di entrambi c’è da dubitarne. In particolare, per quanto riguarda Schirach, Pondrano ipotizza che l’ex capo della Hitler-Jugend fosse stato messo a parte del genocidio già nel 1942, se non prima, e che abbia sollecitato lo sgombero degli ultimi 50 mila ebrei di Vienna, che finirono nei campi di sterminio in Polonia.
L’immagine probabilmente più impressionate del libro è tuttavia precedente all’adesione di Schirach al nazismo. Nelle pagine iniziali, il futuro capo della Hitler-Jugend ricorda il talentuoso fratello, morto suicida nel 1919 a causa della disfatta della Germania nella Grande guerra: “Tutta la loro giovinezza, durante gli anni della guerra, non era stata altro che una preparazione al giorno in cui avrebbero avuto accesso al campo di battaglia. E d’improvviso tutto era svanito”. Incapace di far tesoro di questa tragica esperienza personale, Schirach diede un contributo decisivo alla folle corsa verso la guerra e dunque verso il suicidio della nazione della successiva generazione di tedeschi.