A Parma la prima mostra “for benefit“
Da Marina Abramović a Jan Fabre e Sebastiao Salgado, 117 opere esposte al Palazzo del Governatore per il “Terzo Giorno”. Il 50% degli incassi della biglietteria saranno restituiti al Comune
Roger Ballen
Olivo Barbieri
Jonas Burgert
Leon Golub
Anna Ippolito e Marzio Zorio
John Isaacs
Francesco Jodice
Bodys Isek Kingelez
Andrea Marescalchi
Tracey Snelling
“L’Arte è tutto: è terapeutica e spirituale, è sociale e politica” e in una società disturbata come la nostra - “che sentiamo essere separata dalla natura” - la funzione dell’artista “è quella di dare consapevolezza dell’universo, di porre delle domande giuste e di elevare la mente”. Lo spiega l’artista Marina Abramović, autrice di installazioni e performance (in)dimenticabili (nell’arte, è sempre questione di punti di vista) che ci invita a rimpossessarci della natura che ci circonda, a considerarla in maniera differente - nella sua profondità - a capirla e a rispettarla, a non vederla più come un ostacolo ma solo come un valore aggiunto. Non è, quindi, certo un caso se due delle sue opere fotografiche – Nude with bull head (2006) e Balkan baroque (una foto dell’omonima installazione da lei realizzata durante la Biennale d’Arte di Venezia nel 1997) – siano state scelte dal curatore Didi Bozzini per “Il Terzo Giorno”, una mostra in corso al Palazzo del Governatore di Parma fino al primo luglio prossimo, una buona occasione per visitare quel palazzo e quella città che è stata proclamata Capitale Italiana della Cultura per l’anno 2020.
Se è vero che la natura è un elemento eterno e vivo, è creazione e bellezza nonché massima espressione del mondo in movimento e in mutazione, il nostro tempo “è quello di un profondo cambiamento” – ricorda al Foglio Bozzini, già ricercatore alla Sorbona e professore di filosofia. “Il pensiero scientifico e lo sviluppo tecnologico hanno progressivamente trasformato il perenne desiderio di proteggerci dagli imprevedibili movimenti naturali in un’ossessione di dominio, e la pratica economica l’ha tradotta in uno strumento volto solo allo sfruttamento e al profitto, senza curarsi che all’arricchimento dell’uomo e al suo presunto potere potesse corrispondere un proporzionale impoverimento del mondo in cui vive”. È arrivato, quindi, il momento di pensare altrimenti – aggiunge – di creare (e poi rispettare) un giardino dove l’immaginazione sostituisce il calcolo, il bello prende il posto dell’utile e il buono quello del molto. Partendo proprio da queste premesse, in collaborazione con la società Arkage, è stata realizzata questa mostra che è anche la prima ad avere in Italia un approccio “for benefit”, visto che il 50% degli incassi della biglietteria saranno restituiti al Comune di Parma che andrà poi a finanziare un progetto di sostenibilità ambientale chiamato “Km Verde”.
Una volta arrivati in piazza Garibaldi, fermatevi ad ammirare la suggestiva facciata del Palazzo del Governatore, impreziosita, proprio per questa mostra, dall’installazione site specific “A.L.F.A. 1”, l’enorme sfera dorata di Anna Ippolito e Marzio Zorio (che ritroverete anche nel cortile vicino anche in una versione ‘naturale’). Una volta dentro, dopo aver visto i disegni in grafite sulle pareti (all’ingresso e sulle scale) di Marc Couturier, salite al primo piano dove nel giro di pochi minuti, tempo di ambientarvi, vi renderete conto che quello che state per percorrere, fina al secondo piano, è un piacevole racconto per immagini di un vero e proprio percorso mentale che va dalla Creazione a un nuovo Eden, un percorso nel quale l’arte – come ci ricorda il curatore – viene proposta come la strada maestra che lo spirito segue per attraversare la natura e penetrarne il prezioso mistero.
Tra immagini fotografiche, installazioni, dipinti e sculture, sono 117 le opere esposte, dai corpi ibridi con teste di animali del sudafricano Jane Alexander ai fiori speciali del giapponese Nobuyoshi Araki, dal libro che Alighiero Boetti realizzò con Annemarie Sauzeau (dove classificarono i mille fiumi più lunghi del mondo) alle foto di Gabriele Basilico, di Mat Collishaw (con lui scoprirete da vicino qual è l’effetto di un insetticida su una farfalla) a Jan Fabre e Sebastiao Salgado. “La natura è l’hardware e l’arte è software” per uno come Olivo Barbieri, mentre per il tedesco Jonas Burgert, “la natura è fenomenologia e l’arte è trasformazione”. Sempre particolari i tappeti “naturali” di Pietro Gilardi, immancabili le provocazioni di John Isaacs e di Ryan Mendoza, autore, quest’ultimo, di una reinterpretazione de L’origine del mondo di Courbet. Ad un certo punto troverete anche i grattacieli luminosi di Tracey Snelling, ma anche un sacchetto di immondizia nero, un sacco a pelo e cose simili: non cercate di sollevarli, perché pesantissimi visto che sono delle sculture che l’inglese Gavin Turk ha realizzato in bronzo colorato. Impossibili da dimenticare le foto di Dorothea Lange in bianco e nero dedicate ai migranti così come le opere di Bodys Isek Kingelez, l’artista congolese di cui il MOMA ospita una retrospettiva da poco inaugurata, la prima che il museo newyorchese dedica ad un artista africano.
La creazione, la distruzione e altra creazione vi accompagneranno per i due piani del museo fino alla fine del percorso, uno di quelli in cui è l’arte diventa necessaria per attraversare la natura e comprenderla a suo modo. A restarvi dentro saranno le immagini, che sono poi quelle della natura che è poi essa stessa un’immagine: può piacere o meno, rassicurare o spaventare, ma – sicuramente – non lasciare indifferenti. Il resto – cercare di rispettarla in primis – spetta a tutti noi.