L'Internazionale situazionista. Bagliori di rivoluzione nell'ultima avanguardia del '900
L'estetica della sovversione. Anche il movimento che irrompe nel 1957 sulla scena europea coltiva l'idea del superamento dell'arte verso una direzione politica. Con le sue regole di appartenenza e le sue abiure
Eccoci a vivere l’epoca nostra, quella che – a sentire il poeta – non pare davvero attrezzata per l’allegria. Qui ostinatamente (e vanamente, si sa) a chiedere ragioni del nostro provare a fare, e dire dell’arte, sapere un poco della nostra stessa figura e ruolo nell’inseguire tracce e indicazioni, persi a trovar la strada che ci possa portar fuori dal limaccioso terreno della nostra presunta totale libertà, quella che ci relega invece nel cantuccio dei piccoli gesti, dei personalismi senza storia comune. Sarà pure una lagna ma incontestabilmente ci si annoia con un fare e vedere arte che pare non progettare e non sognare niente, un prêt-à-porter del conformismo, del già visto con intorno uno svanito théâtre des ombres.
Le avanguardie novecentesche, tutte sostanziate di attivismo esasperato, di foga teorica, di settarismi radicali
Zero nostalgia e rimpianti – sarebbe roba buona solo per laudator temporis acti – nel voler rispolverare momenti gloriosi, rivivere intuizioni certo velleitarie ma entusiasmanti, quelle in cui l’arte tutta, il suo stesso teorizzare, il suo agire rifuggivano l’opulenta era del big sleep che ci annebbia oggi in sonni senza sogni. Si mitizza ormai quella forza di spendersi in luce di ragione nel tentato abbraccio col reale, sfoderando utopie, provando a scardinare conformismi, tentando di ricomporre la separazione dolorosa tra arte e vita e negando con forza, sovente in modo violento, l’autoritaria messa a margine dell’arte come bel decoro magari condita con la favoletta rassicurante del sicuro investimento.
Ugo Nespolo, "Molotov", 1968, tela dattiloscritta
Attitudini comuni, con gesti molto diversi, avevano tenuto insieme le avanguardie novecentesche, tutte sostanziate di attivismo esasperato, di foga teorica, di settarismi radicali, tutte tese ad abbracciare il mondo per esserne parte, per trafiggerlo con strumenti quanto mai eclettici: la velocità, il sogno, la rivalità, i diktat, il purismo, l’avventura, la politica con le sue regole di espulsioni, abiure, lotte feroci e tutto il resto.
Esattamente il caso dell’Internationale situationniste (I.S.), quella che con grande lucidità Mario Perniola definiva “l’ultima avanguardia del XX secolo”. Proprio come Dada, il Surrealismo e le avanguardie sovietiche i Situazionisti perseguivano – tra l’altro – l’idea del superamento dell’arte verso una direzione integralmente politica e rivoluzionaria.
Questa tendenza si era come dissolta nell’arco di circa trent’anni per scomparire verso il 1925 e negli anni successivi per la reale impossibilità di prender corpo in società che si stavano avviando verso i giorni bui di fascismo, nazismo e stalinismo, regimi sotto i quali il far arte ha potuto esser soltanto un fatto vanamente celebrativo e propagandistico.
Già negli anni Trenta nel nord Europa il credo surrealista aveva prodotto una commistione tra istanze artistiche e impegno politico
Per la cronaca, l’Internazionale situazionista nasce il 28 luglio 1957 a Cosio d’Arroscia, in provincia di Imperia. Cosio è il paese di uno dei fondatori del movimento, Piero Simondo. Con lui Elena Verrone, Michèle Bernstein, Asger Jorn, Walter Olmo e su tutti Guy Debord. La radice profonda dell’Internazionale situazionista affonda nella tarda cultura surrealista ormai degradata e inoffensiva, il movimento Cobra e il Gruppo scissionista del Lettrismo di Isidore Isou, il movimento per un Bauhaus immaginista (Mib) e il Comitato psicogeografico di Londra. Tra il 1957 e il 1961 ragioni e azioni hanno avuto molto da fare con il pittore danese Asger Jorn, l’olandese Constant Nieuwenhuys, il belga Raoul Vaneigem, l’italiano Pinot Gallizio e naturalmente Guy Debord.
Del Surrealismo Debord guardava il “vero progetto di liberazione sia creativa che sociale”, quell’idea di rovesciare il rapporto tra mondo e individuo contro la prospettiva razionale. “Trasformare il mondo ha detto Marx, cambiare la vita ha detto Rimbaud: queste due parole d’ordine sono per noi una sola”, diceva André Bréton, e rispondendo ad André Parinaud che gli chiedeva quali fossero le barriere che avrebbe voluto abbattere, rispondeva che si trattava di ostacoli sul piano della logica, “il razionalismo più angusto vigilava per non far passar niente che non avesse il suo sigillo… tabù sessuali e sociali”. I Surrealisti erano invece in cerca dell’appetito del meraviglioso.
Già negli anni Trenta in alcuni paesi del nord Europa come Danimarca, Belgio, Olanda e Inghilterra la diffusione del credo surrealista aveva prodotto una potente commistione tra istanze artistiche e impegno politico, la revisione della posizione dell’artista come individuo e uomo di cultura si volgeva adesso alla ricerca di un nuovo ruolo social-politico e rivoluzionario.
Nel suo ben documentato studio, L’estetico, il politico. Da Cobra all’Internazionale situazionista 1948-1957, Mirella Bandini evidenzia come i tre gruppi che confluiranno in Cobra, cioè il gruppo danese Host, i belgi di Surrealism révolutionnaire e il gruppo olandese Reflex, daranno vita al “… concetto di libera sperimentazione e di hasard” nel recuperare i valori della tradizione artistica popolare e artigianale autoctona e si porranno in netta polemica “… con la definizione del Surrealismo come automatismo psichico puro”. Cobra elaborerà anche concetti di totale opposizione alle “… correnti razionalistiche e neo costruttivistiche del tempo”.
Il movimento Cobra elabora concetti di totale opposizione alle “… correnti razionalistiche e neo costruttivistiche del tempo”
La nascita ufficiale di Cobra (acronimo di Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam) avviene l’8 novembre 1948 a Parigi. I tre gruppi nati con istanze anche di carattere autoctono e provinciale si presentano qui uniti e con un piglio e aspirazioni totalmente innovative sulla base del radicale obiettivo critico verso l’arroganza dell’École de Paris per proporre invece una nuova visione di taglio cosmopolita ed europeo.
Il documento fondante del movimento scritto da Christian Dotremont dice tra l’altro: “Noi ci rifiutiamo di essere intruppati in un’unica attività teorica artificiale. Noi lavoriamo insieme, noi lavoreremo insieme…”.
Asger Jorn, eterno e febbrile viaggiatore attraverso l’Europa, nel 1957 tra i fondatori dell’Internazionale situazionista, aveva lavorato a Parigi nel 1936/37 con Fernand Léger e Le Corbusier. Nel primo numero della rivista Cobra attacca con forza il concetto bretoniano di automatismo psichico e parla piuttosto della volontà di Cobra di essere “… atto fisico che materializza il pensiero”.
Gianfranco Marelli scrive a questo proposito: “Dunque l’arte di Cobra è innanzitutto un’arte materialistica tesa alla realizzazione delle passioni, al soddisfacimento dei desideri comuni a tutti gli uomini e trova forma immediata nella necessità di trasformare radicalmente la vita quotidiana”.
Come si è detto, la seconda componente che con Cobra costituisce il terreno culturale e ideologico del Situazionismo è il movimento francese dell’Internazionale lettrista. Il giovane Guy Debord (era nato nel 1931) a vent’anni è già leader della frazione estremista del Movimento lettrista di Isidore Isou, movimento nato con Maurice Lemaitre, Roland Sabatier, Jacques Spacagna, Alain Satié. La cultura francese languiva nelle secche dell’arte formalista e timida della Scuola di Parigi e il Surrealismo ormai in buona parte anch’esso svuotato delle sue capacità estetico innovative si era piuttosto diretto verso il trotskismo e l’anarchia. Bandini scrive: “… il gruppo di artisti e di intellettuali lettristi scatenava un processo di sfida e di sovvertimento delle arti; la poesia ridotta alle lettere, la pittura in poliscrittura, il racconto in affresco metagrafico, il cinema senza immagini”.
Alcuni temi del Lettrismo si ritroveranno con la stessa virulenza nell’I.S., ad esempio lo stato d’animo dei giovani che non avrebbero nulla da perdere pare un sentimento che perdura.
L’arte come risultato di un desiderio collettivo, una libertà totale fatta di sperimentazione senza limiti alla ricerca
Scrive Gabriel Pomerand, che con Isou in quegli anni è stella nel firmamento di Saint-Germain-des-Prés con le sue caves, il jazz, l’esistenzialismo, Boris Vian e la Greco: “Quanta ipocrisia, quanta dissolutezza e vigliaccheria servono ai giovani per non esser tutti dei condannati a morte?”.
L’unico numero della Dictature Lettriste sarà pubblicato nell’estate del 1946 e porta scritto a chiare lettere: “Il solo movimento d’avanguardia artistica contemporanea”, e poi “… Sbattuti nella disperazione noi incominciamo la lotta armata contro i parassiti dello spirito”.
Ecco evidenziate alcune delle molte e complesse istanze sulle quali poggiano ragioni, atteggiamenti e azioni dell’Internazionale situazionista, che irrompe sulla scena della cultura europea come movimento in origine artistico-politico d’avanguardia carico di settarismo e di radicalismo profondo. Mario Perniola, che negli anni 1966-69 al movimento è stato molto vicino, ricorda che per tentare di comprendere cosa davvero si deve intendere per Situazionismo si deve tener conto almeno di tre elementi. C’è innanzitutto il movimento fondato a Cosio D’Arroscia nel luglio del 1957, compare poi il campo molto esteso dei simpatizzanti, fiancheggiatori inerti detti situs o pro-situs o neo-situs. Infine, quasi come unità a sé stante c’è colui che fu definito come l’Unico, ovvero Guy Debord.
Per i situazionisti – intanto – la rivoluzione stessa diviene il fatto artistico predominante. Essi rivoltano, negano e rigettano l’atteggiamento fondante del surrealismo che poneva l’arte al servizio della rivoluzione. Si trattava in realtà di un passaggio tortuoso e ambiguo che non riusciva a evitare (non voleva?) l’intrusione pesante del sistema dell’arte sempre attento a spolpare tutti i contenuti teorici e ideologici per proporre le opere d’arte in qualità esclusiva di merce privilegiata. Lo stesso tema del nuovo, tipico delle avanguardie, altro non rappresentava se non la possibilità di esibire e commerciare l’ultima novità, la moda del momento.
Invece ora si pretende di considerare l’arte come risultato di un desiderio collettivo, una libertà totale fatta di sperimentazione senza limiti alla ricerca – come scriveva uno dei suoi massimi rappresentanti, Asger Jorn, di una “… realtà comune ai sensi di tutti gli uomini”.
“Sparite critici d’arte, imbecilli parziali! Adesso è nell’Internazionale situazionista che si organizza l’attività artistica unitaria dell’avvenire”
Nel primo numero della rivista Internationale Situationniste nel giugno 1957 si parlerà di “amara vittoria del surrealismo… Nel quadro di un mondo che non si è essenzialmente trasformato, il Surrealismo ha avuto successo. Questo successo si ritorce contro Surrealismo che non si aspettava null’altro se non il rovesciamento dell’ordine sociale dominante”.
Nel ’58 la violenta contestazione alla Maison de la Presse di Bruxelles in occasione di un’assemblea internazionale di critici d’arte
La lotta feroce contro il sistema dell’arte si era fatta in casa situazionista ricca di atteggiamenti polemici, se non violenti, che si dirigevano in particolare verso l’establishment dei critici d’arte, proprio coloro che vacuamente alimentavano un sistema corrotto di mercificazione della cultura.
Il 12 aprile 1958 i situazionisti organizzarono una violenta contestazione a Bruxelles alla Maison de la Presse, in occasione di un’assemblea generale dei critici d’arte internazionali. In un feroce manifesto diffuso per le strade della città e pubblicato integralmente sul primo numero della rivista Internazionale situazionista si attacca con grande violenza l’incontro. Si legge tra l’altro: “Sparite critici d’arte, imbecilli parziali, incoerenti e divisi! Invano allestite lo spettacolo di un falso incontro. Non avete nient’altro in comune che un ruolo da sostenere; fate sfoggio, in questo mercato, di uno degli aspetti del commercio occidentale, la vostra chiacchiera confusa e vuota su una cultura decomposta. Siete svalutati dalla storia. Anche le vostre audacie appartengono a un passato da cui non uscirà più niente. Disperdetevi, brandelli di critici d’arte, critici di frammenti d’arte. Adesso è nell’Internazionale situazionista che si organizza l’attività artistica unitaria dell’avvenire. Non avete più niente da dire”.
Il Laboratorio sperimentale di Alba consolida la collaborazione teorica e pratica di Pinot Gallizio, Asger Jorn, Guy Debord e altri
Nei primi mesi del 1957 il Laboratorio sperimentale di Alba aveva vissuto il consolidarsi della collaborazione teorica e pratica di Pinot Gallizio, Constant, Vaneigem, Jorn e Debord che già aveva chiara la volontà di costituire un movimento radicalmente nuovo e in grado di fondere i nuovi esiti della ricerca artistica d’avanguardia con la critica politico-rivoluzionaria.
L’evento fondamentale per la fondazione del Laboratorio sperimentale era avvenuto nell’estate del 1955 ad Albissola Marina con l’incontro di Jorn e di Pinot Gallizio, che nel suo diario annota: “1955. Incontro con Jorn e svolta decisiva della libertà di ricerca”.
Nel documento fondativo del movimento, datato 29 settembre 1955 e firmato da Gallizio, Jorn e Simondo, si poteva leggere: “Il primo laboratorio di esperienze immaginiste del Movimento internazionale per un Bauhaus immaginista”.
Già nel 1951 a Liegi si smembrava il movimento Cobra e Jorn iniziava a progettare e a rendere attivo il Mouvement international pour un Bauhaus Imaginiste. Lotta senza quartiere alle istanze puriste, minimaliste e frigide tutte volte a un funzionalismo esasperato. La scuola di Ulm guidata da Max Bill aveva ereditato cultura e ideologia dal Bauhaus di Gropius a Weimar e Dessau, con quell’attitudine a riportare le arti verso la logica della produzione industriale ma che – in realtà – conduceva la creatività verso le algide strade del funzionalismo, della produzione seriale e del design.
Per questo ad Alba si dà vita a un attacco forsennato contro il funzionalismo architettonico, con Jorn che si scaglia contro le posizioni razionaliste della Scuola di Ulm. Poi una violenta lettera contro la Triennale di Milano produce le dimissioni di Ettore Sottsass dal Mibi, il Movimento internazionale per un Bauhaus immaginista e anche le dimissioni di Enrico Baj e di tutto il Movimento nucleare milanese.
Una tela del danese Asger Jorn (1914-1973) e una dell’italiano Pinot Gallizio (1902-1964),
due dei fondatori dell’Internazionale situazionista. Decisivo il loro incontro nel 1955 ad Albissola Marina
Già nel 1953 erano iniziati i rapporti tra Asger Jorn ed Enrico Baj che con Sergio D’Angelo e Joe Colombo avevano dato vita al Movimento pittura nucleare fatto di antiastrattismo generico e ricco dell’idea potente di sperimentare la gestualità e la materia asserendo – tra l’altro – che “i nucleari vogliono abbattere tutti gli ismi di una pittura che cade invariabilmente nell’accademismo, qualunque ne sia l’origine. Vogliono e possono reinventare la pittura”.
Con l’espulsione del gruppo milanese prende il via il feroce gioco delle esclusioni e delle scomuniche che genererà la vocazione a rendere il movimento chiuso e settario. Qualcuno ricorda che dal luglio 1957 alla sua estinzione nell’aprile del 1972 l’I.S. aveva annoverato un insieme di non più di settanta persone. Scrive Perniola: “La pratica delle esclusioni e dimissioni fece sì che nel gruppo fossero contemporaneamente presenti non più di una decina di membri”.
Le epurazioni parevano indispensabili per arrivare a un movimento coerente. Nel primo numero della rivista Internazionale situazionista del 1958 compare un testo illuminante in proposito, “Niente indulgenze inutili”, firmato da Michele Bernstein, l’allora compagna di Debord, in cui tra l’altro si legge: “Diciamo chiaramente che tutti i situazionisti conserveranno l’eredità delle inimicizie dei loro gruppi costitutivi e che non c’è ritorno possibile per quelli che una volta siamo stati costretti a disprezzare… Nessuno deve poter considerare la sua appartenenza all’I.S. come un semplice accordo di principio… noi siamo diventati più forti, quindi più seducenti. Come sempre non vogliamo delle relazioni inoffensive e non vogliamo relazioni che possono servire ai nostri avversari…”.
Epurazione e disprezzo per membri e simpatizzanti, per quelli che costituiranno il popolo esteso dei situs. Mentre il Surrealismo di Bréton era stato capace di portare a sé schiere di intellettuali, poeti, letterati, pittori riuscendo così a prolungare la sua azione per alcuni decenni, le epurazioni di Debord avevano reso esile o nulla la presenza degli artisti e della componente estetica: tutto si stava dirigendo al politico nel tentativo di fare della rivoluzione il fatto estetico supremo.
Debord pur essendo dotato di una cultura filosofica, letteraria e storica profonda, si definiva dottore in niente e si professava avversario di qualsiasi istituzione, avversario dell’università, del giornalismo e della chiesa. I suoi testi parleranno di détournement, la deriva, la ricerca psicogeografica, atteggiamenti tutti volti alla ricerca di una trasformazione del vivere in un’avventura stimolante, passionale e creativa.
Con Jorn, Debord realizzerà nel 1957 lo straordinario testo Fin de Copenhague e poi la guida Psychogéographique de Paris, opere fatte di frammenti di piante delle città, l’uso libero del colore, i testi rivoluzionari ed espliciti nel tentativo di mostrare interventi sull’urbanistica e sull’architettura stessa per negare i valori imposti dalla tradizione in una visione radicalmente mutata dalla vita stessa. Il détournement non è una pratica soltanto ironica alla maniera dei surrealisti è piuttosto una proposta forte, concreta e armonica con la sensibilità di chi dovrà vivere le città.
Una lettera contro la Triennale di Milano provoca le dimissioni di Ettore Sottsass dal Movimento per un Bauhaus immaginista
In Debord e nei situazionisti è preminente l’atteggiamento critico verso il modo in cui la vita viene vissuta, il concetto di alienazione e l’impossibilità di uscirne se non negando la costrizione del lavoro. “Ne travaillez jamais” sarà provocatoriamente scritto sui muri parigini nel ’68: significava rifiutare il lavoro alienato, arrestare quel processo di spettacolarità generalizzata dominata dall’epica delle merci e delle loro passioni.
Le teorie di Debord e del Situazionismo saranno in stretta relazione col Maggio francese al quale essi partecipano attivamente evidenziando che le rivolte del ’68 non sono eventi legati soltanto ai movimenti studenteschi ma una autentica rivolta diffusa, non nata per una questione di rivendicazioni economiche. Ci furono occupazioni di università, fabbriche e uffici, si tentò la strada di una democrazia diretta sintetizzata tra l’altro in un Consiglio per il movimento delle occupazioni nel quale confluirono componenti diverse e difficilmente assimilabili. Ma il fondo di oggettività artistica dell’I.S. non poteva sposare un’organizzazione conciliare, né collaborare con altri gruppi gauchistes che non parevano adeguati (Perniola).
Il movimento si disgrega, ma anziché scomparire dà il via un processo di celebrazione, santificazione quasi, che trova la sua apoteosi il 29 gennaio 2009, quando gli archivi di Debord vengono proclamati dal ministro della Cultura francese Tesoro nazionale.
Con le epurazioni di Debord tutto si stava dirigendo al politico, nel tentativo di fare della rivoluzione il fatto estetico supremo
Guy Debord, vera anima dell’I.S., ha guidato il movimento con rigore estremo attraverso la sua originaria vocazione estetica tramutatasi dopo il 1962 in una decisa scelta politica. Sino alla sua sparizione dell’aprile 1972, anno in cui scrive con l’italiano Gianfranco Sanguinetti un documento dal titolo La véritable scission dans l’Internationale.
I suoi film, i suoi libri tra cui il celeberrimo La société du spectacle influenzeranno le nuove sinistre non soltanto europee, e alto rimane il sentimento di dedizione che ha animato una delle più ricche personalità della cultura del Novecento. Muore suicida con un colpo di rivoltella al cuore il 30 novembre 1994 nella sua casa di Champot-Bas, nell’alta Loira.