Quando l'eroe diventa nero: il blackwashing dei personaggi pop
Da Buffy a Lupin, da Achille alle valchirie nordiche: personaggi prima bianchi diventano neri in nome della tanto conclamata “diversità” politicamente corretta
C’era una volta il cosiddetto whitewashing. Personaggi in origine orientali o di colore venivano interpretati da attori bianchi. È il caso, ad esempio, di Lawrence Oliver che fa Otello (il Moro di Venezia) nel film omonimo del 1965, o di Mickey Rooney che interpreta un giapponese in “Colazione da Tiffany” del 1961. Il whitewashing era dovuto in parte al razzismo ma, anche alla mancanza di attori non caucasici, è il caso di tanti bianchi che facevano i nativi americani (in era pre politicamente corretto, “indiani”) nei western.
Adesso dal whitewashing si è passati al blackwashing: personaggi prima bianchi diventano neri (non orientali, gli asiatici sono ancora poco considerati), in nome della tanto conclamata “diversità”, parola decisamente orwelliana (c’è “diversità” solo se si rispettano i dogmi del politicamente corretto). Già nella serie tv “Smallville” di inizio millennio con protagonista il giovane Clark Kent prima che diventasse Superman il suo migliore amico, Pete Ross, passa da bianco (come è nei fumetti) a nero. Ma Pete è un personaggio minore, chiaramente in quota minoranza etnica, il focus è sul triangolo fra Clark e le due ragazze interessate a lui, la nerd aspirante giornalista Chloe e la gattamorta Lana e sul rapporto con Lex Luthor, suo futuro arcinemico.
Un caso eclatante di blackwashing è stato il personaggio di Nick Fury nei film della Marvel, ma in realtà qui il cambiamento ha una sua logica. Quando nel 2000 la Marvel aveva lanciato i fumetti dell’Universo Ultimate – versioni rinnovate e alternative di personaggi creati negli anni Sessanta), il capo dello Shield (il servizio segreto dell’Universo Marvel – era diventato un afroamericano con la faccia di Samuel L. Jackson. Era quindi naturale farlo interpretare dall’attore: e la scena dopo i titoli di coda del primo “Iron Man” del 2008 quando appare a Tony Stark (alias Iron Man) e gli parla degli Avengers è il primo mattoncino alla costruzione di quell’Universo Marvel al cinema con tutti i film, finora venti, collegati fra di loro. Peraltro il Nick Fury “ufficiale” era già stato interpretato da David Hasselhoff di “Baywatch” in un film per la tv del 1998.
Quando nel 1954 Richard Matheson scrive “Io sono leggenda”, ha in mente un bianco come Robert Neville, unico rimasto umano in un mondo popolato da vampiri. E infatti sono bianchi gli interpreti delle prime due versioni cinematografiche, Vincent Price in “L’ultimo uomo della Terra” del 1964 e Charlton Heston in “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra” del 1971. Ma ci sta che nella terza versione del 2007, “Io sono leggenda” ci sia il nero Will Smith nel suo ruolo: Neville è un everyman, non è un personaggio legato a un’iconografia particolare, il vero difetto del film è che stravolge in modo infelice il romanzo di Matheson.
Diverso è il caso di personaggi entrati nell’immaginario collettivo e che vengono distorti se “colorati”. La nuova serie tv sul ladro gentiluomo Lupin, ambientata ai nostri giorni, sarà interpretata dal nero Omar Sy. Probabilmente per far parlare di una serie all’apparenza piuttosto banale: sarebbe stato forse meglio fare di Omar Sy un fan del personaggio di Maurice Leblanc e magari della serie animata giapponese che vuole essere il nuovo Lupin pur non essendo né bianco né giapponese (ma quando viene voglia di fare lo script doctor di una serie – e per giunta gratis – vuol dire che questa, almeno sulla carta, funziona poco).
Ci sarà il reboot di “Buffy”, la storica serie tv (andata in onda fra il 1997 e il 2003) con protagonista una giovane Cacciatrice di vampiri, forse la più bella serie di supereroi mai fatta, visto che il suo creatore Joss Whedon (che non a caso in futuro avrebbe lavorato per la Marvel, sia come sceneggiatore di fumetti che come regista di “Avengers”), aveva mixato classici stilemi supereroistici (identità segreta, superpoteri), però con protagonista una Cacciatrice nera. Però per tutti Buffy è Sarah Michelle Gellar, i fan avrebbero senz’altro preferito Buffy fare da mentore a una nuova Cacciatrice, magari anche di colore. Anche se sembra che la produzione abbia fatto parziale marcia indietro date le proteste degli appassionati e che sarà uno spin-off invece che un reboot.
Abbiamo avuto persino un Achille di colore, interpretato da David Gyasi, nella miniserie Netflix “Troy - La caduta di Troia” e una valchiria nera (Tessa Thompson) nel film Marvel “Thor: Ragnarok”. Abbastanza assurdo visto che gli Achei vengono tutti ritratti come bianchi e biondi, tanto che nel saggio “Omero nel Baltico” di Felice Vinci si ipotizza che la vera città di Troia fosse in Nord Europa, e le valchirie fanno parte del pantheon degli déi nordici. “Trovo più che altro ridicolo che si annuncino con squilli di trombe cambiamenti di questo tipo” dice al Foglio l’esperto di cultura pop Pier Giuseppe Fenzi. “Si arriva al paradosso di deità norrene di colore, con una valchiria nera e alta un metro e sessanta, andando contro non solo all'iconografia fumettistica, ma anche a quella classica. Sono forzature evidenti, delle quali non c'è bisogno: non ci sono eroi di colore a sufficienza? Creiamone di nuovi, non trasformiamo quelli già profondamente consolidati nell'immaginario collettivo”.
In passato, del resto, era così. Quando nel 1993 debutta “Deep Space Nine” la terza serie tv dell’universo di Star Trek abbiamo il primo capitano di colore, Benjamin Sisko (Avery Brooks), che è un personaggio totalmente nuovo, e che fra l’altro comanda una stazione spaziale, non un’astronave come l’Enterprise. Adesso, in tempi di politicamente corretto avanzato e di totale avversione al rischio nei confronti dei franchise storici ci sarebbe probabilmente stato un Capitano James T. Kirk afroamericano.