Quanto si ride e quanto s'impara pulendo le case e lo sporco degli altri
Laura Snapes, Louise Rafkin e Iris Murdoch. Tante giornaliste raccontano la loro esperienza da ex donne di servizio
Laura Snapes scrive di cinema e altro per il Guardian. Siccome ha cominciato dal basso in una società meritocratica, dieci anni fa lavorava per pochi soldi in un cinema della Cornovaglia. Faceva le pulizie, con straccio e scopa: resti di popcorn, effetti della troppa birra bevuta, pasticci di carne buttati sotto le poltrone, perfino un pannolino da neonato (dopo il cambio acrobatico, mentre la pellicola avanzava, lo avevano mollato lì). Garantisce che non c’erano film più temibili di altri, quanto a maleducazione degli spettatori. Odiava sopra ogni cosa le vecchiette che rimanevano fino all’ultimo titolo di coda, impedendo agli spazzini di sbrigarsela in tempo per lo spettacolo successivo (gira la voce che indugino fino al nero anche i festivalieri, non è vero: cercano di lasciare la sala prima degli altri per mettersi in coda al film successivo).
È il capitolo mancante a “Lo sporco degli altri”, una delizia di libriccino uscito nel 2000 per Feltrinelli. Lo aveva scritto Louise Rafkin, che prima di fare la giornalista per Cosmopolitan o per il New York Times – anche negli intervalli tra un articolo e l’altro, quando si dice la vocazione – puliva case negli Stati Uniti e all’estero. Ammette di essere figlia d’arte, il padre teneva le palline da golf in ordine di pulizia: sporche, mezze sporche, candide. Avrebbe preferito lo spionaggio, da piccola si allenava spiando la vicina. Poi capì che entrare nelle case per pulirle, oltre a un lavoro che si trova sempre e non impegna la mente, era quasi come fare la spia. La terza ipotesi – “mi faccio suora” – fu scartata perché in casa erano ebrei non praticanti.
Astenersi schifiltosi, se non sopportate la lettura di “Lo spogliatoio della signora” by Jonathan Swift, lo scrittore satirico che dal ‘700 in poi nessuno ha mai battuto (e nessuno lo farà, se non riusciamo a zittire i permalosi e i deboli di cervello: provate oggi a suggerire che i figli dei poveri vadano venduti ai ricchi e cucinati come tenero spezzatino, di certo non guadagnerete un posto d’onore nella letteratura). Un coraggioso corteggiatore fruga tra i vestiti della dama e quel che vede lo disgusta. Al punto da convincersi che le donne siano “sgargianti tulipani nati dallo sterco” (neanche questa si può dire? allora perché tanto entusiasmo per Bridget Jones, che parla di potatura e disboscamento per rendersi presentabili?).
Con qualche punta tragica, e qualche brivido alla voce “dispetti verso i padroni antipatici”, i racconti sono uno spasso. Quasi come la storia – vera – della romanziera Iris Murdoch, tanto disordinata e nemica della pulizia che una volta lei e il marito decisero di cambiar casa: per rendere di nuovo abitabile la vecchia serviva troppo tempo e fatica.
“Ho pulito case così sporche che parevano installazioni artistiche”, scrive Louise Rafkin. In mente doveva avere la Eat Art anni ‘60 di Daniel Spoerri. Ben fissato sulla tela-tovaglia, quel resta dopo aver mangiato: bicchieri e posate sporche, piatti con gli avanzi, un mozzicone di sigaretta nel piattino del caffè. A servizio in casa di un uomo “appena divorziato” (tempistica del datore di lavoro) trovò una cucina così lercia che tutto era rimasto appiccicato, lo sporco faceva da supercolla. Un signore molto ubriaco le disse: “Fa niente per le pulizie, mi aiuti piuttosto a trovare i soldi” (aveva nascosto un rotolo di banconote da cento dollari così bene che non le trovava più, Louise Rafkin lo colloca tra i “momenti da favola”).
Ha spazzato case e spolverato alberghi, per conto proprio e per conto terzi, dopo un corso di formazione in materia di moquette, ha imparato che l’aspirapolvere va passato a righe parallele. Ha interrogato la donna delle pulizie che aveva in casa da ragazzina, e una delle donne che tenevano pulita la casa del miliardario Hearst e della famiglia Kennedy. Per vacanza è andata a pulire bagni in Giappone, trovandoli già smaglianti (e gorgoglianti). Sconsiglia a chi cerca lavoro le case con bambini, se non c’è anche un cane: perdono i peli, ma divorano il cibo che il pupo lascia cadere sul pavimento.