Braunstein contro la “filosofia impazzita” dell'occidente
“Stanno tracciando l’ultima riga all’avventura umana”, dice il professore Filosofia contemporanea all’Università Sorbona di Parigi
Roma. “I nostri dibattiti ricordano parola per parola quelli altrettanto surreali sul sesso degli angeli che agitavano gli studiosi bizantini, mentre l’islam si stava preparando a porre fine a quella civiltà millenaria”. E’ questo l’avvertimento che Jean-François Braunstein consegna al suo libro in uscita per Grasset, La philosophie devenue folle, e che il Monde annovera fra i titoli principali della rentrée des idées di fine anno. Braunstein, che insegna Filosofia contemporanea all’Università Sorbona di Parigi (da Einaudi è uscita la sua Storia della psicologia), spiega che la filosofia contemporanea è letteralmente “impazzita” attorno a tre “ossessioni”: il gender, gli animali, la morte.
L’occidente sembra che abbia ormai solo il “diritto” sulle labbra: i diritti delle donne, i diritti delle minoranze sessuali, i diritti degli animali, il diritto di morire con dignità. E proliferano gli studi: di genere, sugli animali, di bioetica. Braunstein si è immerso nel gergo profetico, ridicolo e delirante, dei “nuovi maestri” del pensiero debole che è però come un partito onnipotente. Li subiamo. Sono obbediti. Nessuno li legge davvero. Ma le loro idee si inverano. Dal primo gennaio 2019 sui certificati di nascita di New York potrà apparire la dicitura “Gender X”, per chi alla venuta al mondo del proprio figlio non ritenesse di doverlo assegnare al genere maschile o femminile.
Nell’occidente dell’ottimismo panglossiano del tutto è possibile, la verità non esiste più, contano solo le parole. “Se la sessualità non è legata al sesso, perché non cambiarla ogni mattina?”, domanda Braunstein. “Se il corpo è a disposizione della nostra coscienza, perché non modificarlo all’infinito? Se non c’è differenza tra animali ed esseri umani, perché non fare esperimenti scientifici sugli esseri umani in coma piuttosto che sugli animali? Se ci sono vite degne di essere vissute e altre no, perché non liquidare i ‘disabili’, compresi i bambini ‘difettosi’? Perché non nazionalizzare i corpi dei quasi-morti a beneficio di esseri umani più promettenti?”.
Estremizza, Braunstein, ma per spiegare quanto sia pericolosa la fragilità della filosofia contemporanea. Si devono “cancellare i limiti”: tra i sessi, tra gli animali, tra i vivi e i morti. “Tali progressi dovrebbero andare ‘nella giusta direzione’, quella di un’umanità che si muove verso un futuro radioso, pacifico e fraterno. Come non essere indignato per le condizioni orribili che vengono inflitte agli animali da allevamento? Come non possiamo sperare che ai malati terminali venga data una morte ‘pacifica’? Chi non è scioccato dalla discriminazione nei confronti di transgender?”. La potenza di questo nuovo pensiero debole è la sua apparente, inarrestabile ineluttabilità.
Ma sotto questa superficie consensuale si agitano “cambiamenti su larga scala che stanno modificando la stessa definizione che abbiamo dell’umanità”. E’ l’emergere di una “umanità tecnicamente riformata, animalizzata, disumanizzata”, come la definisce Braunstein. “I nostri bei sentimenti sono una abiezione. Il postumanesimo non ha affatto lo scopo di creare una nuova umanità, un superuomo, mira a tracciare l’ultima riga alla vecchia avventura umana. L’uomo sarà così la prima specie animale conosciuta a organizzare da sola le condizioni della propria sostituzione”. E sarà di una banalità agghiacciante.