“L'orgasmo non è un complotto occidentale”. Daoud contro gli imam del sesso
Il premio Goncourt sul Monde denuncia “il mondo musulmano che ha una relazione malata con le donne”. Ma i libertini occidentali tifano “inclusione” (leggi sottomissione)
Roma. L’ultimo video dell’imam Maulana al Hajizi sta andando forte su Youtube. L’anziano religioso islamico affronta il tema: “Il sesso orale è consentito nell’islam?”. Sembra una risposta alla tribune di prima pagina sul Monde di venerdì a firma dello scrittore algerino Kamel Daoud. “L’orgasmo non è un complotto occidentale”, il titolo. Due anni fa Daoud, arrivato in finale al premio Goncourt con il romanzo “Il caso Meursault”, sempre sul Monde aveva denunciato “il mondo musulmano che ha una relazione malata con le donne”. Queste sono “definite da relazioni di proprietà, come mogli di X o figlie di Y” e il modo in cui vengono occultate nasconde una specie di “isteria”. La gauche castigò lui, anziché gli islamisti, perché l’“informatore nativo” di Orano aveva finito per “stigmatizzare” una intera religione.
Adesso l’algerino riprende quella polemica e scrive che nell’islam è in corso una “caccia al sesso con il pretesto della virtù”. Il più grande successo degli imam è aver opposto l’immagine di una “società musulmana idealizzata e asessuata” a un “occidente licenzioso”. Così, come nel caso dell’imam al Hajizi che parla di fellatio e cunnilingus, “nessuno è più esperto di sessuologia e di dormire con le houris (le vergini celesti) della galassia di sceicchi. Parlano del sesso tanto quanto erano soliti parlare di visioni mistiche”. Ma sostituiscono l’orgasmo con il dolore. E’ tutto un parlare di “sesso, bikini, gonna al ginocchio, altezza del tacco, chirurgia estetica”. C’è un terrore politico, dietro: “La sessualità vissuta liberamente può, a forza di amore e di orgasmi, portare alla conclusione che il paradiso in terra è meglio del paradiso promesso”. Così la clandestinità è diventata la regola nell’islam. “La coppia si rifugia in cimiteri, giardini, appartamenti illegali, spiagge deserte e inquietanti, automobili parcheggiate nei boschi, alberghi di lusso”. E’ come una fuga dal carcere, scrive Daoud. E ha prodotto una generazione persa “fra YouPorn e la fatwa”. In pratica, Daoud chiede un #MeToo nell’islam.
Ma l’occidente sembra aver da tempo deciso di parteggiare per quegli imam, facendo il loro gioco con il discorso incessante sulla “inclusione”, il “rispetto della differenza” e la “scelta”. La battaglia delle ragazze iraniane per rifiutare il velo di regime è passata in cavalleria (i torturatori e i rastrellatori hanno avuto la meglio). Perché come ha scritto l’australiana Rita Panahi, “mentre le coraggiose donne iraniane hanno protestato contro le leggi dell’hijab, le femministe occidentali hanno celebrato l’hijab”. Seyran Ates, una attivista turco-tedesca, ha recentemente aperto a Berlino la prima moschea per le donne senza velo. La sua decisione è stata più coraggiosa di un hashtag come #BalanceTonPorc. Ma Ates è stata immediatamente inondata di minacce di morte e deve girare con la protezione della polizia. La sorte delle ragazze nigeriane rapite da Boko Haram, delle ragazze yazide e cristiane ridotte in schiavitù sessuale dall’Isis, delle ragazze indonesiane di Aceh frustate in piazza per “adulterio”, delle ragazze musulmane europee sottoposte a mutilazioni genitali, delitti d’onore, aborti e matrimoni forzati (tanti i casi anche in Italia) sono relegate nelle nostre note a piè di pagina. Ha voglia Kamel Daoud ad aspettare l’aiuto dei libertini occidentali per la liberazione del coito islamico.