Compiono trent'anni i “Versetti satanici” di Rushdie
Nessuno scrittore oserebbe mai scriverlo ora. Nessun editore approverebbe la sua pubblicazione
Roma. Il 26 settembre di trent’anni fa apparve presso la casa editrice inglese Viking Penguin il romanzo di uno scrittore anglo-indiano, “I versetti satanici”. Dopo nove giorni il libro fu bandito in India, il paese di nascita dell’autore, Salman Rushdie. Quindici giorni dopo, il 10 ottobre, arrivarono le prime minacce di morte. L’anno finì male in un crescendo. A Bolton, in Inghilterra, il libro fu bruciato in piazza il 2 dicembre. Il 4 dicembre a Clarissa, la moglie di Rushdie, arrivò la prima telefonata: “Ti prenderemo stasera, Salman Rushdie, al 60 di Burma Road”. Era il loro indirizzo di casa. Il 28 dicembre arrivarono le minacce di pacchi bomba negli uffici della Viking Penguin. Il Capodanno trascorse senza incidenti.
Il 1989 cambia tutto. Era il giorno di San Valentino, quando dall’Iran arrivò la condanna a morte di Khomeini. Rushdie scomparve, come in una nuvola. Fu la prima volta che, in nome dell’islam, uno scrittore veniva condannato a evaporare dalla faccia della terra. Da allora molta strada è stata fatta. L’assassinio di Theo van Gogh ad Amsterdam, la morte di tanti intellettuali arabo-islamici rei di scrivere liberamente, le vignette danesi, Charlie, i roghi di Ratisbona, le raffigurazioni di Maometto chiuse nei magazzini dei musei di mezzo mondo.
E tre nuovi episodi negli ultimi giorni. In Olanda, Geert Wilders è riuscito a dimostrare quanto rapidamente capitoliamo. Il politico populista aveva appena indetto un concorso di caricature su Maometto. Non le aveva ancora viste nessuno e sarebbero state appese alle pareti di un corridoio del Parlamento dell’Aia pesantemente sorvegliato. Ma le piazze pachistane si sono subito riempite, una taglia sulla testa di Wilders è stata lanciata a Islamabad e ci sono stati arresti in Olanda per terrorismo. Le pressioni e le minacce hanno spinto gli organizzatori a cancellare l’iniziativa, tanto che Afshin Ellian, accademico iraniano in esilio in Olanda, ha scritto che vige la sharia anche nel paese di Spinoza.
Mercoledì, davanti a una libreria del quartiere latino di Parigi, per consentire a Eric Zemmour di presentare il suo nuovo libro “Destin français” sono arrivati venti agenti della gendarmeria francese, blindando la strada. Neppure per un capo di stato in visita in Francia si arriva a tanto.
E in Germania la più grande casa editrice, parte del gruppo Penguin che pubblicò Rushdie, si è rifiutata di far uscire il bestseller di Thilo Sarrazin, “La scalata ostile”. Intanto la libertà di parola negli Stati Uniti sta mostrando la sua fibra debole e spossata, dalle purghe al vertice dei giornali alle censure di classici come “Il buio oltre la siepe”, passando per gli accademici cacciati per reo anticonformismo.
“Nessuno da ora tenterà di insultare Maometto”, disse Khomeini. Su questo si sbagliava. Ma su una cosa l’ayatollah aveva ragione. E’ la verità del caso Rushdie trent’anni dopo: oggi il romanzo non verrebbe pubblicato, nessuna grande casa editrice come la Penguin si farebbe avanti, il cordone sanitario degli scrittori attorno all’incauto collega sarebbe più forte, così come il voltafaccia delle diplomazie occidentali, mentre per lesa “islamofobia” non pochi sono già finiti in tribunale. Trent’anni fa, Scotland Yard fu costretta a proteggere tutti i dirigenti della Penguin e anche Mondadori fu costretta a un aumento delle polizze di assicurazione. Quale editore oggi lo sopporterebbe? “Nessun artista della gamma di Rushdie oggi oserebbe scrivere i ‘Versetti Satanici’ e se lo facesse nessun editore lo pubblicherebbe”, ha scritto Nick Cohen. E oggi, grazie ai social diventati un’arma di dissuasione e di minacce di massa, probabilmente il suo autore sarebbe meno fortunato di quanto non fu Rushdie. E tra due anni, salvo sorprese, alla Fiera del libro di Torino saranno ospiti d’onore gli ayatollah che appiccarono i roghi dei “Versetti”. Il progresso della cultura.