Claudio Strinati, l'arte di vivere l'arte come intelligenza e “divagazione”
Un volume in onore del “professore” all’accademia di San luca
Roma. I giovedì all’Accademia di San Luca, storica associazione di artisti fondata nel 1593 dal manierista Federico Zuccari (1539-1609), tra lectio magistralis, eventi crowdfunding, mostre e presentazioni di volumi, sono un appuntamento fisso di gran seguito con l’arte e la cultura. Ma un pubblico così numeroso, come qualche sera fa, non si era mai visto. Il motivo? Un omaggio speciale a Claudio Strinati, già stimato docente universitario, per venti anni alla Soprintendenza di Roma e del Lazio nonché attuale direttore scientifico della Fondazione Sorgente Group che, proprio grazie a lui e ai suoi preziosi consigli, ha visto incrementare notevolmente la collezione di arte antica con quadri di grande interesse relativi alla pittura italiana del Seicento di area emiliana (tra gli altri, opere di Guido Reni, Guercino e i loro allievi) e a quella vedutista del Settecento con Paolo Anesi, Andrea Locatelli e Hendrik Van Lint.
Grazie a lui è stata riportata alla luce “La Diana cacciatrice” del Guercino, esposta poi alla Pinacoteca civica di Cento, sono stati presentati di recente all’Ara Pacis dei calchi della dinastia giulio-claudia appartenenti alla Fondazione e si è ridata vita a “Cavallo e calesse” (1905), un significativo acquerello che Boldini – come ci spiegò il professore lo scorso maggio – realizzò ispirandosi a “La cavallina storna” di Pascoli. La sala color rosso bordò con i soffitti decorati è troppo piccola per far stare comodi i presenti, ma tutti vogliono partecipare alla festa organizzata per presentare “L’Arte di vivere l’arte”, un prezioso volume pubblicato da EtGraphiae con scritti e contributi in suo onore a cura di Pietro di Loreto. Sono 52 gli studiosi che vi hanno preso parte, storici dell’arte, questo è ovvio, ma anche importanti rappresentanti ed esperti di altri ambiti culturali, studiosi di musica e di letteratura, di storia come del teatro e persino collezionisti.
Un volume honoris causa che non si riduce però alle anticipazioni di saggi che lo compongono, ma traccia a suo modo un interessante percorso dentro l’arte alla fine del quale emerge sempre lui, “il professore”, che grazie alle sue competenze straordinarie e alle sue profonde conoscenze è stato ed è un punto di riferimento ineludibile per molti e stimolo per l’affermazione di una concezione dell’arte più aperta e dinamica, decisamente in controtendenza rispetto all’algido rigore in vigore. Storico dell’arte ed esperto in ambito musicale, uomo colto ed affascinato dalle novità, Strinati ha incuriosito e sedotto inevitabilmente tanti studiosi e studiose, ma anche semplici amanti delle belle arti con cui è venuto in contatto.
E’ diventato un riferimento essenziale per i suoi studi, ma a conquistare sono stati soprattutto i suoi comportamenti, gli atteggiamenti e le prese di posizione. “Sa cosa vuol dire senso di appartenenza, come sa cos’è l’idea di comunità e la capacità di dialogo, tutte caratteristiche con cui ha sempre gestito il suo lavoro”, si legge nella prefazione. “Le sue sono espressioni di un comune sentire che fonda le sue radici in una profonda libertà interiore, un atteggiamento innovativo tipico di chi non conosce l’immobilismo né il relativismo etico, ma sa mantenere una spiccata attenzione alle forme del cambiamento”.
Come pochi, Strinati, grazie alla sua lucidità di pensiero, racconta gli eventi con una continuità storica e con capacità descrittiva, crea correlazioni artistiche tra passato e presente con grande disinvoltura ed esprime le sue opinioni – ci spiega Francesca Cappelletti, sua ex allieva, oggi docente e storico dell’arte – e lo fa senza nessuna titubanza, con assolutismo e determinazione. “I suoi amici – ricorda nel suo discorso – gli hanno regalato uno specchio in cui vedere tutti i suoi interessi e le sue virtù, dalla libertà all’affabilità, dalla sensibilità profonda alla grande ironia, simbolo di grande intelligenza. Attratto dal Cinquecento, dal Rinascimento e dal Manierismo, è un intellettuale a tutto tondo interessato di storia dell’arte, ma anche di letteratura, lingua, diritto, filosofia, economia, musica epigrafia e molto altro ancora.
“Divagatore più che divulgatore”, come lo definì Achille Bonito Oliva, è stato uno dei pochi a concepire e a capire quale sia o debba essere il vero valore dell’Arte, tra i pochi ad elaborare che il pregio della conoscenza artistica consista nel farne un dono e nel saperla vivere, “perché è di fronte all’opera che ci si apre alla vita”. La sua logica è quella della conoscenza come “pane per tutti”, uomini di cultura e gente semplice: un’idea maturata con tutta probabilità giusto ai tempi in cui era un giovane insegnante esordiente, in un periodo tra gli anni Sessanta e Settanta di profonde trasformazioni anche in ambito educativo e didattico, quando si poteva concepire l’educazione all’arte quale “stimolo a una partecipazione sensibile ai più ampi valori sociali e solidali”, come progetto di una nuova consapevole estetica dell’esistenza. La sua dote più importante? La capacità di aver capito che ciascuno di noi “è una combinatoria d’esperienze” – come ricorda la sua allieva citando Calvino – e che la vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un campionario di stili dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili.