Scoprire la poesia e trovare la salvezza
L’amicizia tra Susanna Tamaro e Pierluigi Cappello
Fino ad allora avevo conosciuto il male della Storia, l’indifferenza della natura, che fa soccombere i più deboli a vantaggio dei più forti ma, nel dominio della mia prima fanciullezza, mancava ancora una tessera. Sperimentare la cattiveria pura e assoluta sulla mia pelle.
Susanna Tamaro, “Il tuo sguardo illumina il mondo” (Solferino editore)
Questo libro è una confessione. Una dichiarazione d’amore alla vita e allo stesso tempo il racconto nudo e preciso delle crudeltà che la vita ha portato con sé. Che sono, purtroppo, le crudeltà degli esseri umani. Susanna Tamaro scrive una lunga lettera splendente luce anche mentre rivela le ombre, e anche più delle ombre, il buio, l’infelicità, la paura, l’incomprensione. Parla di sé, parlando al suo amico che è morto. Pierluigi Cappello è stato un grande poeta (potete leggere i suoi libri nelle edizioni Bur, e “Un prato in pendio” le contiene tutte, anche quelle inedite) ed è morto nel 2017. Con Susanna Tamaro sono stati grandi amici, si sono scritti lettere, hanno parlato a lungo al telefono, si sono fatti visita a vicenda, innamorati entrambi degli alberi, degli animali, della poesia.
Si sono presi cura l’uno dell’altro, come il Piccolo principe e la sua rosa. “Gli anni della nostra amicizia sono stati per me gli anni della grande libertà. Libertà di essere come sono”. Volevano scrivere un libro insieme, ma la malattia di Cappello non ha lasciato il tempo. Susanna Tamaro ha tenuto fede a quell’impegno, e ha consegnato se stessa al suo amico, gli ha raccontato tutto ancora una volta. Perché si erano riconosciuti, e perché lui era un poeta. “Coltivare anziché consumare. Le amicizie si coltivano, i rapporti si consumano. E’ il coltivare che rende le cose nobili, importanti (…) Ciò che ci rende felici è sapere che, se uno di noi due un giorno non potrà portare l’acqua per dissetarla, sarà l’altro a farlo. Non ci sarà arsura capace di ucciderla”.
Etty Hillesum ha scritto nei suoi Diari: vorrei essere un balsamo per molte ferite. E’ un grande desiderio, un desiderio importante. Questo libro è un balsamo, perché mentre racconta il dolore provato e vissuto, cura il dolore degli altri, fa capire che c’è sempre una possibilità, una mano tesa. Che esiste il bene, così come esiste il male. Susanna Tamaro racconta di soffrire della sindrome di Asperger, e racconta un’infanzia terribile, l’infanzia di una bambina non compresa e poco amata. Il padre non era capace di amare, e “il marito di mia madre era un vero psicopatico”.
La madre non voleva vedere, non riusciva a guardare (“Cosa vuol dire venire pesantemente maltrattati, e vedere tua madre che guarda distrattamente da un’altra parte?”). L’adolescenza di una ragazza diversa e disprezzata anche a scuola. “Non si capisce neanche di cosa parli”, le aveva scritto il professore di Italiano sotto il tema. “Fin da quando avevo memoria di me, nel mio cuore, nella mia mente c’era una grande sete di verità. La lunga clausura infantile era stata un lucido e sofferto apprendistato entomologico. Osservavo, registravo, catalogavo tutto ciò che succedeva intorno, nella speranza di intravedere uno spiraglio che potesse permettermi di capire qualcosa dei comportamenti umani”. Susanna Tamaro ha imparato presto a vedere le persone, ma è sempre andata incontro agli altri convinta che tutti condividessero il suo stesso candore, scrive. E questo candore è diventato una forza. E la scoperta della poesia è stata la sua salvezza. Questo libro è la storia, sconvolgente, di una salvezza.
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