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Genitori ombrello, lasciate che i bambini vadano ai libri senza di voi

Simonetta Sciandivasci

Arriva in libreria “Clown” di Quentin Blake, beati i bimbi

Leggete fiabe, favole, storie, filastrocche ai vostri figli. E’ divertente, sensato e, se siete di quelli che nella vita non fanno niente che non porti un ricavo, tranquilli: è anche utile. Salda o rinsalda il legame tra bambino e genitore, dicono i pedagogisti. Corrobora e potenzia lo sviluppo cognitivo del piccolo, dicono gli educatori. In Inghilterra si dà come compito a casa: leggere con mamma o papà per almeno quindici minuti al giorno. Molto edificante. Non fosse che il 45 per cento delle mamme e dei papà inglesi, stando a un sondaggio di cui il Corriere dava notizia a febbraio, dice di sentirsi “profondamente a disagio in libreria”, e figurarsi a leggere un libro ad alta voce. Per non dire della stanchezza. Dove la trovi la forza e l’energia di sederti accanto a tuo figlio e leggergli qualcosa, tu, padre italiano, che se va bene sei uno stremato quarantenne circondato da “padri di cinquanta, sessant’anni con lo sguardo spento, la lombalgia e l’alito cimiteriale di chi non dorme da mesi” (Valerio Mastandrea da Cattelan, martedì sera, recitando il monologo di Matteo Torre per Il Figlio di Annalena Benini).

 

E se rovesciassimo l’onere? Se fossero i bambini a leggere e i genitori ad ascoltare? Per la prima volta in Italia, arriva in libreria (e speriamo pure su Amazon, in caso foste libreriafobici) “Clown” di Quentin Blake, per l’editore Camelozampa che ha invitato “tutti i bambini a leggerlo ad alta voce ai loro genitori e inviarci un video della loro lettura!”, garantendo che “tutti i video saranno pubblicati sulla pagina Facebook e in una raccolta YouTube”. Chi lo sa cosa ne penserebbe Quentin, amico dei bambini lettori di molte generazioni (sono sue le illustrazioni delle favole di Roald Dahl e di Bianca Pitzorno), che in “”Clown” non ha piazzato neanche una riga, ma solo tavole, disegni, perché voleva forse raccontare qualcosa da osservare e non da dire, visto che spesso nel dire alcune cose vanno al macero, si semplificano, svaniscono: non è mica vero che le parole spiegano sempre tutto, specie per i bambini (una delle più belle storie sull’apprendimento l’ha raccontata Fulvio Wetzl nel suo splendido “Prima la musica poi le parole”, un film del 1998, dove i guai di espressione verbale del piccolo protagonista venivano risolti con i colori e, com’è intuibile dal titolo, con la musica).

 

Scrive la Camelozampa editore nel suo comunicato che “i libri senza parola spaventano gli adulti, che non sanno mai bene come prenderli”. E’ vero che non siamo tutti come Gaston (il pretendente di Belle che, delle molte cose che di lei non capiva, la più stramba gli risultava il fatto che lei leggesse “libri senza figure” – siamo in “La Bella e la Bestia”, Walt Disney). Importa? Questo esperimento di affiancamento, oltre a disturbare un ragazzino mentre si gode una storia per immagini grazie al privilegio che dura il tempo della sua infanzia e cioè fregarsene del senso stretto e letterale delle storie, a cosa serve? E’ un test di Rorschach travestito da buone intenzioni di condivisione parentale? E’ sfruttamento di minore (leggi tu, amore, la mamma è stanca)? Abbiamo forse paura che, lasciato da solo a leggere o a guardare una pagina, un seienne si separi dalla mamma (cosa che, se fossimo tutti meno appiccicosi e paranoici, auspicheremmo)? Ammettiamo però che è difficile resistere alla tentazione di ascoltare come una piccola peste potrebbe raccontare la prima scena di “Clown”, che s’apre con una signora che svuota, in un bidone della spazzatura a bordo strada, una cesta di pupazzi. Quentin Blake ha disegnato “Clown” vent’anni fa, quando era un ultrasessantenne e aveva capito il bisogno che avremmo, tutti, di lasciarci ammutolire da una storia deliziosa. Così dipinse venti tavole in cui un pagliaccio di pezza se ne andava in giro per le strade della città ad aiutare chiunque, soprattutto gli stronzi, i burberi, gli scortesi.

 

Molti dei pupazzi che gettiamo via per sopraggiunti limiti di età (la nostra) si perdono per le strade del mondo e finiscono triturati in una discarica. Altri fondano colonie antagoniste con cui architettano la propria vendetta (come fa Lotso in “Toy Story3”). Altri ancora si rimettono in cammino e vanno dove serve portare gentilezza, che è mezza salvezza. Così fa il pagliaccetto di Quentin Blake. Muto, per la semplice ragione che offrirsi agli altri è un gesto che non abbisogna di spiegazioni. Le spiegazioni, le interpretazioni, le letture servono agli adulti, che – furboni! – le trasformano in alibi, a volte anche in arbìtri. Il “Clown” di Blake è bellissimo, tutto da guardare, una tavola di colori indicibili e infiniti: usarli come istigazione alla verbalizzazione è un po’ cattivo.

 

Postilla di cronaca recente. Qualche mese fa, a Carpi, una famiglia ritirò il figlio da scuola poiché gli erano stati assegnati, da leggere, i libri di Bianca Pitzorno: la mamma del piccolo, leggendoli assieme a lui, aveva trovato che caldeggiassero la teoria gender. Tutte le mamme sono un po’ pericolose, ma quelle che s’intromettono nelle letture dei figli potrebbero esserlo di più.

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