La convivenza nel Mediterraneo è possibile

Giuseppe Fantasia

“Il Filo dell’Alleanza” è opera collettiva che, tra Israele e Palestina, coinvolge un gruppo di donne all’insegna dell’integrazione e della convivenza attraverso l’arte e la tecnica del ricamo

Palermo. L’oro è incorruttibile, è il metallo più prezioso, è causa di guerre e di disuguaglianza, ma può anche unire e creare l’incontro. Si pensi al Giappone, dove da secoli esiste il kintsukuroi, l’antica arte del riparare le ceramiche frantumate dove le crepe sottili sono riempite con una pasta che può essere d’argento, ma soprattutto d’oro. Artisti di ogni paese ed età hanno preso spunto da quell’antica tradizione per realizzare i loro lavori, come dimostrano gli italiani Marcantonio Raimondi Malerba con la sua collezione “Kintsugi” per Seletti o la palermitana Daniela Papadia, che è partita da quella che è una vera filosofia di vita per applicarla all’arte e alla scienza.

 

Se in questi giorni siete a Palermo, fate una tappa a Palazzo Belmonte Riso, a metà strada tra piazza Quattro Canti e la cattedrale, sede del Polo museale d’arte moderna e contemporanea. All’ultimo piano, tra mobili appesi al soffitto con spesse corde color sabbia, troverete “Il Filo dell’Alleanza”, un progetto del programma “Italia, Culture, Mediterraneo” realizzato con il sostegno del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale nell’ambito della presidenza Osce. Si tratta di un’opera collettiva che, tra Israele e Palestina, coinvolge un gruppo di donne all’insegna dell’integrazione e della convivenza nel Mediterraneo e nel Medio oriente attraverso l’arte e la tecnica del ricamo.

 

Papadia lo ha scelto perché simbolo dell’arte della riparazione, una metafora usata per ricucire gli strappi consumati in conflitti ancora troppo attuali. Sei gruppi di donne del movimento Women Wage Peace, coordinate dalla ricamatrice Michal Avvisar, hanno creato sei arazzi alti quasi tre metri assemblati poi insieme proprio da un filo d’oro, simbolo del Mediterraneo. “Quel filo permette a donne d’Israele e della Palestina separate dalla storia, dalle guerre e dalle divisioni interne, di conoscersi e lavorare insieme”, spiega l’artista al Foglio. “Facendo interagire gli individui – aggiunge – si portano contenuti simbolici carichi di significati adeguati alla giusta percezione di sé e dell’altro”. Promosso all’Associazione Wish (World international sicilian heritage), il Filo rappresenta una via per intrecciare relazioni che rigettano la discriminazione, l’esclusione e la violenza. Quel che ne è venuto fuori è una sorta di genoma umano che integra e definisce l’unicità e la somiglianza di ogni individuo, raffigurando i dodici geni che garantiscono la funzione del sangue individuati dal neurofisiologo Riccardo Cassiani Ingoni. “Il sangue può dividere e unire”, spiega. “Il genoma ci dice che facciamo parte di un unico progetto umano, che noi siamo unici, ma esattamente come lo sono tutti gli altri”. Abraham Yehoshua, in un video, dice: “Non bisogna parlare di pace, ma parlare delle domande di vita e di come migliorarla”.

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