Fiorenza de Bernardi, in volo con papà e poi da sola
È stata la prima pilota di linea in Italia. Gran dama romana, novant’anni e un baule di ricordi
Una delle risorse incommensurabili di Roma sono le anziane. Altro che sciuraglam milanese, è nella capitale che allignano le dame più fantastiche. “Venga al Panamino! Ci vediamo lì, che io mangio qualcosa”. La pilotessa pranza al bar. Via Panama, Parioli-lussureggianti, edifici da Bauhaus romanordista. Hogan e cotonature come argine al degrado. È stata la prima comandante di linea d’Italia, Fiorenza de Bernardi. Nata nel ‘28, figlia dell’asso dell’aviazione Mario. “Màngiate qualcosa!”, mi dice, sta seduta con una sua amica, “ma io mica ascolto, fate finta che io non ci sto”, dice l’amica, più pischella, sugli ottanta. “Che voi sapè?”, chiede de Bernardi, al sole. Intanto come la devo chiamare. Comandante? “Fiorenza”.
Fiorenza de Bernardi, prima a sinistra, e il suo equipaggio, in una foto degli anni Sessanta
Poi comincia. “Iniziai a volare nel 1951 con mio padre, su un piccolo aereo da turismo. In realtà non ci pensavo per niente. Facevo l’Accademia di Belle arti. Il mio sogno era andare a vivere in montagna, sulle Dolomiti. Un giorno un amico di mio padre mi fa fare il primo volo sul suo grosso aereo militare. Quando sono scesa gli ho detto: che aspetti a famme fa’ il corso?”. Pure l’aeroporto di Pratica di Mare, quello di Berlusconi con Putin, si chiama de Bernardi. L’hanno intitolato a suo papà. “Ci ho festeggiato i miei novant’anni”. Invece sul palazzo di casa gli hanno messo pure una targa. “Ci annamo dopo. Mangia qualcosa, prenditi un caffè, bello”. L’amica si mette al sole, chiude gli occhi.
Assunta dalla Aeralpi nel gennaio 1967. “Facevamo il Milano-Cortina e il Venezia- Cortina, estate e inverno”
In volo con papà: dopo quel volo il comandante Fiorenza de Bernardi non ha più smesso. “Approfittai del permesso che l’Aeronautica militare dette ad alcuni civili già un po’ pratici di frequentare un corso alla scuola militare di Alghero nel 1966. Poi presi lezioni da istruttori dell’Alitalia e, dopo aver superato gli esami di navigazione, aerotecnica, meteorologia, medicina aeronautica, ebbi il brevetto commerciale. Così potei essere assunta dalla Aeralpi nel gennaio 1967 divenendo la prima pilota di linea in Italia (e quarta o quinta nel mondo)”. Che rotte faceva? “Con Aeralpi facevamo il Milano-Cortina e il Venezia-Cortina, estate e inverno con bimotore canadese Twin Otter (il comandante de Bernardi nomina sempre l’aeromobile in questione, come dire una Panda o una Ritmo). Ma Venezia-Cortina non è vicinissimo? “Eh, ma sempre ce dovevano annà”. E chi c’era su questa rotta? “Tanti. I Savoia. “Gabriella!”. “E Maria Beatrice!”. “Poi il cantante di Stasera mi butto, come si chiamava?” “Rocky Roberts”, dice l’amica, che sta a occhi chiusi e non dice una parola, ma interviene alla bisogna.
“L’aeroporto di Cortina era piccolo piccolo, arrivavi al Passo Giau, giravi a sinistra, poi chiamavi, e a Cortina c’era uno dentro la stazione, di legno, guardava dalla finestra, ti diceva se il campo è libero o no, e poi scendevi”. Si entusiasma. “Sai io son stata pure la prima a fa l’atterraggio sul ghiaccio”. E com’è l’atterraggio sul ghiaccio? “Beh, vabbè, è l’opposto della pista. Devi dare completamente motore perché devi atterrare in salita”. Perché in salita? “Beh, che fai, atterri sul ghiacciaio in discesa?” (tempi comici perfetti, da Alberto Sordi, da Verdone). E poi non scivoli indietro? Lei scuote la testa. “Te metti di traverso”, dice l’amica, che non si capisce se è anche lei una pilotessa. “Che belli i voli di montagna. Una volta si è chiuso tutto il cielo e siamo rimasti bloccati” dice il comandante. “E’ come in barca a vela, che ti devi portare le cose necessarie, Nescafé, scatolette. Così abbiamo fatto l’igloo. Abbiamo fatto tanti mattoncini di neve uno sopra l’altro, in un cerchio sempre più piccolo”. Ma attorno all’aereo? “Ma quale aereo? Fuori, per dormire”. E non potevate dormire nell’aereo? “Ma te congeli, invece nell’igloo col sacco a pelo stai bene” (l’amica pensa chiaramente che io sia un fesso). “Che bello. Lontano dalla gente, da tutto”.
Lo Yak, il suo aereo preferito: “E’ un trimotore russo. Abbiamo fatto un viaggio dimostrativo in Australia. E poi ci portavamo la Fiorentina”
Che ne pensa la pilotessa di questi politici di oggi che vanno in Cina in economy per risparmiare? “Guarda, io so’ de destra”, premette. Ok. E poi. “Ma che te devo dì, se c’è la classe economica che vadano in economica”. Non raccoglie. Insomma, com’era essere l’unica donna pilota in Italia? Aveva secondi piloti maschi o femmine? “Tante volte maschi”. Non si ribellavano? “Ai primi tempi. A Linate, mi ricordo, manco buongiorno, proprio nun me salutavano. Allora gli dissi: ragazzi, guardate che io qua sono e qua rimango. Quindi capirono, e si adattarono”. Non c’era il MeToo? “Mi che?”. Ultimamente vola? “Da passeggera no, non mi piace”. “A un bel momento chiudi. Non mi va di farmi ‘er giretto sopra Roma”. O pilota lei o niente.
Lei ha fondato l’Associazione pilote italiane, diventata ora Donne dell’aria, della quale fanno parte anche paracadutiste, direttrici di aeroporti e insomma tutte le donne dell’aviazione. Ed è vicepresidente della Federazione pilote europee e di un’infinità di altre associazioni. “Mi chiamano sempre ai raduni, mi invitano. Adesso c’è una riunione, tra un paio di giorni, ci vado, si chiama The Old Flying Chicken, le vecchie galline volanti. E’ un pranzo di tutte le hostess in pensione, quello ci vado sicuro”. Ma è stupendo, voglio venirci pure io dalle vecchie galline volanti. “E vieni. Lo fanno a Casalpalocco”.
“Una delle poche copilote donne era Graziella Sartori, con cui siamo state pure da Umberto in esilio. Con un Aermacchi 318”. Come mai? “Il braccio destro del re era stato compagno di volo di mio padre, quindi ci hanno invitato, siamo andati a colazione”. Vabbè, vogliamo tutti i dettagli. Com’era il re in esilio? “E come doveva essere?”, ripete la domanda. “Che poi dice che a villa Italia ci hanno fatto un albergo”, scuote la testa. Indignazione. “Lo dice una signora che viene sempre a prendere il caffè qui. Fa la gioielliera. Dice che adesso va in pensione e si trasferisce a Cascais pure lei”. Certo, c’è questa legge per non pagar le tasse per dieci anni. “Mah”.
Insomma il re? Com’era? Triste? “Beh triste triste no. Non è che se metteva a piangere”. “Con noi era stato molto carino”. “Poi siamo andate a cavallo con le figlie, con Gabriella, con Maria Beatrice”. Il Papa l’ha mai portato? “No, mai”. “Perché io con l’Alitalia ufficialmente non ci ho mai volato. Ho volato per quell’altra società”. “Come se chiamava?” “Airtirrena”, dice la sua amica suggeritrice. “Ecco, Airtirrena, così son diventata la prima pilota commerciale italiana”.
L’amica se ne va. “Essendo la prima donna, dovevi proprio studiare delle regole nuove, per esempio, se rimani incinta fino a che mese puoi volare? Le regole le abbiamo un po’ inventate noi, così abbiamo deciso che si può volare fino al quinto mese”, dice il comandante. E incidenti? “Mah, una volta, ancora con mio padre, nel ’53. Ci ha piantato il motore. Stavamo volando sopra la tomba di Garibaldi al Gianicolo, mio padre è riuscito a stallarlo, nun s’è rotto manco il carrello, pensa un po’, uno stallo perfetto. Però il castello motore si è piegato in avanti e siamo schizzati fuori tutti e due. Mi ricordo che c’era un contadino che tagliava l’erba e fece una faccia stravolta. Io mi son rotta le calze”.
Beh, poco danno. “Sì ma mica nell’incidente”. “Piuttosto, scavalcando una rete per entrare in casa di uno e cercare un telefono, per telefonare, mica c’erano i cellulari”. “Io pure ci ho questo piccoletto – e caccia un Nokia tipo 3310 – mica voglio quelli che te scrivono tutto, quelli che ti arriva tutto”. Gli smartphone. “Ecco”. Incidenti veri però mai? “Una volta senza passeggeri, son finita sott’acqua capovolta, poi ho fuoco a bordo, poi motori piantati. Mai un graffio. Lo vuoi sape’? In macchina, invece, con la mia Panda, ho chiuso gli occhi un secondo, so’ andata a sbattere, trentaquattro fratture, ospedale a Latina”. Lo dice come se fosse ieri. Quand’è stato? “Ottantacinque”. Quindi è vero che è più sicuro l’aereo. “Beh, gli aerei almeno te controllano sempre, ogni volta, le macchine mai. Dovrebbero cominciare a togliere la patente ai ragazzini che guidano embriachi”. E gli anziani? “Ah, io guido benissimo”.
E dove va? “All’Urbe. Tutte le mattine”. E’ il suo aeroporto preferito (’ l’aeroporto piccolo di Roma, quello dei voli privati, accanto alla ex sede di Sky). Va a vedere gli aerei? “Ma de che. Ho la gatta”. Quale gatta? “La mia gatta. E’ nata là, ha sempre vissuto lì, dorme dentro gli hangar, io mica la posso togliere”. Il comandante de Bernardi è molto animalista, ha anche degli animali in un altro rifugio fuori Roma che va ad accudire quando può. Figli niente. Non ne ha voluti, “perché son del parere che se li fai poi ci devi stare”. Sposata con un pilota, poi separati, poi è morto”. Sempre stata libera comunque. “Famiglia piemontese, di Saluzzo, c’è ancora una vecchia casa col giardino intorno, mio nonno era magistrato, girava l’Italia, i figli son nati dappertutto. Mia zia è nata a Napoli, mio padre a Venosa. Da ragazza fatto in autostop da Londra fino in Scozia, prendevo il sacco a pelo e partivo: devo ai miei tutta la mia libertà”.
Ma insomma, mai un momento di paura a bordo? Mai. Le racconto allora che io ero terrorizzato dal volo e ho fatto anni fa il corso dell’Alitalia per gli ansiosi. “Ah bravo!”. Son due giorni, il primo si fa la teoria. Ti spiegano tutti i rumori che senti, ti fanno fare il simulatore. “Ah, quello lo usavo pure io, er Dc8”. “E ciai ancora paura?”. No, è stato molto utile. E’ stata anche una delle esperienze più divertenti della vita, il secondo giorno con la squadra degli ansiosi, tra cui molti che non hanno mai preso l’aereo in vita loro, si fa un Roma-Milano, merenda a Linate e ritorno a Fiumicino, in mattinata. Con gente che prega, altri che svicolano dal metal detector, altri con giganteschi amuleti: tutti su un normale volo di linea, ma con comandanti-psicologi che ti tengono la mano (e i passeggeri ignari che non capiscono dove sono capitati).
Con una copilota da Umberto in esilio. “E’ stato molto carino. Poi siamo andate a cavallo con le figlie, con Gabriella, con Maria Beatrice”
Al corso mi avevano insegnato che i pericoli che si vedono al cinema non son veri, come per esempio un foro di proiettile che buca la carlinga, non succede niente, non è che precipita. “Ma quale proiettile?”. Eh, se qualcuno spara. Come nei film, “Ma perché ci dev’esse lo sparo?”, chiede. “Ma chi te deve sparà?”. Vabbè. Niente. E cos’è più difficile per un pilota? “Se devi fa’ le acrobazie, le acrobazie. Se devi fa’ i voli normali, l’atterraggio, ecco”. “Ma spostati un po’, che te còci, stai in pieno sole!” (è una bella giornata, l’ottobrata romana). “Vuoi mangià qualcosa?”. No, grazie, comandante. Pausa. “Vuoi vedere la targa?”. Andiamo.
Attraversiamo le strisce. Le passanti la omaggiano. Lei ha una borsa della spesa, in romano una busta. “Me so’ comprata i funghi, vedi”. Sulla targa, apposta al palazzo nel 2005, c’è una frase. “A Mario de Bernardi. Che dell’ala fa l’emula della folgore”. E’ D’Annunzio. “Sì”, lei non sembra molto interessata. “Conosceva papà”. Saliamo a casa, lei non sarebbe tanto per la quale, ma io son curioso, voglio vedere i cimeli, mi sento un po’ uno di quelli delle bollette finte che truffano le anziane. Andiamo all’attico, si vede tutta villa Ada. “Qua quando siamo venuti noi nel ‘34 non c’era niente, era tutto bosco”, dice. Arriva una gatta grigia bellissima. “Si chiama Grey”. Ma è quella dell’Urbe? “Ma de che, quella sta all’aeroporto”.
Alle pareti tante foto con nipoti (“so’ belli, sì”, e chissà che fico avere una zia pilotessa come lei). Foto di gatti, e cani. Uno scaffale intero di album di foto per annata e temi. Ordinatissimi. Scritte: “Australia”; “voli di linea”; “Boeing”; “raduni”. “Amburgo”. Apriamo. “Bello lo Yak eh”. Lo Yak non è un gatto ma il suo aereo preferito, “trimotore russo, capace di atterrare anche su neve e terra battuta. Aertirrena ne comprò tre con base Firenze Peretola.
Abbiamo fatto un viaggio dimostrativo in Australia, un mese intero volando da India, Afghanistan, Kuala Lumpur, Bali, Timor”. “E poi ci portavamo la Fiorentina, eccola qua”, ecco in una foto la squadra, i giocatori, e lei, naturalmente, ai comandi. Altre foto, il primo raduno mondiale di pilote di linea, fotografate di fronte al Quirinale, 1988. “l’avevo organizzata io”. Una vetrinetta con targhe e onorificenze di tutti i generi. Quella di Commendatore della Repubblica, firmata Giorgio Napolitano. “Commendatore” dice. Pausa. “Me dovrei fa crescere i baffi”. Visita alla Boeing, a Seattle, anni Settanta; annotazione a biro, stinta. “Viaggio di piacere”; si vede una festa di pilotesse sorridenti abbracciate a dei maschi nerboruti americani. “I piloti si facevano le foto abbracciati a delle belle ragazze, e noi non potevamo farlo coi bei ragazzi?”. Viene subito da pensare che saranno pochi ancora in circolazione di quella gioventù aeronautica. Però dev’essere stato veramente bello.