I reazionari di sinistra
Migranti, minoranze, diritti. Chi rompe i tabù diventa un lepenista. I casi Guilluy, Smith e Michéa
Roma. “Possiamo discutere con Christophe Guilluy?”, si è chiesto il quotidiano della gauche francese Libération in uno speciale di due pagine. Ovvero ci si chiede se, a sinistra, sia lecito dibattere delle tesi di un intellettuale che proviene dall’album di famiglia. Perché Guilluy, ex militante di Sos Racisme, da anni si è fatto un nome di peso come studioso della “Francia periferica”. Il suo ultimo libro, “No society”, è il resoconto dell’ultima grande disruption, la fine della classe media a causa della globalizzazione e della crisi identitaria, oltre che di come la stessa classe media abbia finito per scaricare la sinistra e abbracciare il populismo. Non solo, ma Guilluy critica il politicamente corretto come nuova ideologia delle élite e li chiama “nuovi sacerdoti”. Su Metropolitics, Guilluy viene accusato di “alimentare visioni ansiogene”, mentre su France Culture lo si addita come “ideologo del Rassemblement national” lepenista.
Dopo i néo-fachos (gli intellettuali di destra), è il tempo della gauche réac, i reazionari di sinistra. Stesso destino per Stephen Smith, studioso di immigrazione, il cui ultimo libro “La ruée vers l’Europe” (in Italia per Einaudi), mette in guardia sull’impatto che la demografia e l’immigrazione africana avranno sul Vecchio vecchissimo continente. Smith è rigettato a sinistra in quanto porterebbe acqua al mulino del sovranismo. Già analista per le Nazioni Unite e l’International Crisis Group e diventato punto di riferimento di Emmanuel Macron sull’immigrazione, Smith si è difeso dalle accuse con un articolo su Libé: “Quel maniscalco dell’estrema destra che non sono”. Pierre Jacquemot, ricercatore presso l’Iris, lo ha accusato di “rifare il letto” ai seguaci della teoria del grande rimpiazzo. Dal College de France, il demografo di stato François Héran lo taccia di “agitare lo spettro del pericolo nero”. Il mensile Causeur di questa settimana titola: “Guilluy e Smith: una demolizione mediatica”. E così due intellettuali di sinistra si ritrovano trasformati in “sobillatori” dalla stessa sinistra.
Il terzo caso riguarda Jean-Claude Michéa, il filosofo conservatore di sinistra, che nel suo nuovo libro “Le loup dans la bergerie” attacca l’alleanza fra capitalismo e progressismo e accusa la sinistra di aver abbandonato “il popolo” a favore delle minoranze. Il direttore di Libération, Laurent Joffrin, apre così un suo editoriale contro Michéa: “Con amici come lui, la sinistra non ha bisogno di nemici”. “Invece di difendere gli interessi delle classi popolari, che comporterebbe la promozione dei valori collettivi – Michéa li collega al ‘comune senso del pudore’ caro a George Orwell – la sinistra si è concentrata sulla lotta al razzismo, la lotta contro la discriminazione di genere, la denuncia delle politiche di ‘sicurezza’, combinando così il liberalismo economico e il liberalismo culturale, che sono i fratelli ideologici siamesi”.
Con questa sua critica, scrive Joffrin, Michéa dà il fianco al sovranismo della destra. Come quando Michéa definisce la Svezia “la Corea del nord del liberalismo culturale” o spiega che “il ministero della Verità di ‘1984’, la cui facciata è decorata con tre massime (‘la guerra è pace; la libertà è schiavitù; l’ignoranza è forza’), potrebbe inciderne una quarta: ‘Le molestie sono un’azione di grande violenza che può essere eseguita in un colpo solo’”. Una critica nemmeno troppo velata al #metoo. E nelle ultime settimane, anche un altro (ex) idolo della sinistra, Michel Onfray, è stato distrutto dagli ex compagni. “L’idolo marcescente di una parte della sinistra varca il Rubicone che lo separava dalla pura e semplice estrema destra”, ha scritto il portale Mediapart contro il filosofo ateo, appena interdetto da France Culture e France 5.
Alla sinistra mainstream non sono mai andate giù le bordate di Onfray contro il Sessantotto, da lui definito “un mondo apertamente consumista e scristianizzato”. Sul settimanale Point di questa settimana, Bernard-Henri Lévy definisce Onfray “un mélenchoniste corteggiato dal Front national”. Il dissenso a sinistra è diventato prima un’eccentricità, poi un’eresia, infine una colpa. Perché i migranti, le minoranze e i diritti devono restare tabù. Con il rischio, per la sinistra, di finire cannibalizzata dai test del Dna della senatrice Elizabeth Warren alla ricerca di uno zero virgola di passato nativo. La nuova follia identitaria.
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