Dante è vivo e lotta insieme a noi
La Commedia sottratta alle scuole, illustrata come un fumetto e spiegata come una cosa viva. Funziona
Come tutti quelli che sono andati a scuola in Italia, non amava la Divina Commedia. Il suo mondo era quello dei fumetti. Così Gabriele Dell’Otto è diventato uno degli otto (la numerologia è una misteriosa chiave, in Dante) disegnatori, otto nel mondo, che illustrano le copertine di Marvel America, il mito dei supereroi. Ma ora le sue tavole illustrano i canti dell’Inferno. Con lo stile del fumetto d’autore. Un po’ fantasy, un po’ horror – questo è l’Inferno, ragazzi – e siamo curiosi di vedere come disegnerà il Paradiso. Immagini forti di un’evidenza che la può capire anche uno studente dell’istituto tecnico, non per forza un liceale. E il punto è proprio qui: un Dante per tutti, messo in salvo dalla ruggine scolastica. Riportato nella vita. La scommessa editoriale è ardita, l’ha fatta Mondadori. Una Divina Commedia che sarebbe stupido definire pop, non è questo. Piuttosto la sfida di far incontrare Dante a chi non lo ha mai letto, o non lo ha mai amato. Ai giovani, ma non solo. A un pubblico generalista. Una Commedia (a fine ottobre va in libreria l’Inferno, il resto seguirà) senza note pesanti e accademiche; senza rimandi alla critica e alla filologia dantesca; senza il paragone continuo con la Letteratura (tutta la letteratura è un paragone continuo con Dante, ma sono cose che si scoprono solo vivendo). C’è già stato il gran Vittorio Sermonti, certo. Che nel 1987 per la radio Rai lesse e commentò, e “sminuzzò” da par suo, per usare un’immagine dantesca, tutti e cento i canti introducendoli e spiegandoli senza perderne una sola briciola, ma rendendoli comprensibili a qualunque italiano di media cultura. E c’è stato Roberto Benigni, certo. Da gran toscano, gigioneggiando qua e là, ha reso comprensibili, che vuol dire amabili, anche “li versi strani” a una vastissima platea televisiva nemmeno necessariamente dotata di cultura media.
A Dell’Otto capita di ascoltare Nembrini parlare in quel modo di Dante. Ne rimane affascinato, ha un’idea: tu la racconti, io la disegno
La cosa diversa di questa edizione è che pure lei è introdotta e spiegata passo passo, canto per canto: ma come lo farebbe un amico che l’ha letta bene, un vecchio saggio più esperto (della vita, non solo di Dante) che ne ha gustato nel tempo il significato. E te lo spiattella lì, come parlasse dei pensieri nostri e non della Cantica. Poi c’è il testo con accanto la versione in italiano corrente, ma non corrivo. Senza ambizioni poetiche, ma per farsi capire persino da chi sia ignaro di metrica e latinorum.
Com’è potuto accadere che Gabriele Dell’Otto, che oggi ha 45 anni e tre figli, e un portfolio lungo così che spazia dalla Marvel alla “rivale” DC Comics, che crea insomma le immagini che piacciono ai ragazzi, si sia appassionato a Dante che non amava? A tentare l’ardua impresa l’ha convinto un incontro, casuale come gli incontri migliori della vita, con un professore bergamasco che si chiama Franco Nembrini. Da alcuni anni protagonista di seguitissimi incontri con il pubblico più disparato, dagli studenti alle casalinghe, in cui legge e spiega la Commedia. Non da specialista, ma da appassionato di un poeta che ha molto da dire a tutti. perché è il Sommo Poeta, sì, ma se lo è è anche perché è un poeta cristiano. E sono le due cose insieme, e non divise come di solito si insegna a scuola, a renderlo così attuale, pertinente alla vita.
A Dell’Otto era capitato di ascoltare Nembrini in una parrocchia romana – lo ha raccontato in un’intervista alla Lettura del Corriere realizzata in vista di Lucca Comics – ne rimase affascinato, proprio perché parlava soprattutto ai giovani e proponeva un senso, non soltanto una spiegazione. Lo raggiunse sotto il palco e gli propose l’impresa: tu la racconti, io la disegno. Il primo a restarne stupito, neppure si conoscevano, fu il professor Nembrini. Sembrava un folle volo, invece eccoli qua. E’ nata così questa Divina Commedia diversa, o meglio con una pretesa diversa: “Io mi ritengo un esperto di Dante solo nel senso letterale della parola ‘esperto’: uno che ha fatto esperienza”, scrive Nembrini presentandosi ai lettori. “Ho letto Dante a decine e decine di classi, a migliaia di ragazzi; e così la passione per questa lettura è cresciuta continuamente: perché l’opera di Dante è un’opera viva, interloquisce così profondamente con il lettore che questi in qualche modo la riscrive”. Franco Nembrini è uno strano caso (non strano: diciamo non consueto) di insegnante affabulatore. Perché, appunto, non è un affabulatore: uno di quei professori alla moda che mettono in scena “narrazioni”. E’ una persona che affascina perché racconta prima di tutto di sé, della propria esperienza. Un’avventura simile gli era già capitata con Pinocchio, l’altro suo libro del cuore: anche il Burattino ha raccontato centinaia di volte a migliaia di ascoltatori. Pinocchio era diventato una trasmissione dialogata per la televisione (Tv2000) e a sua volta un libro: non critico, ma esperienziale e sapienziale.
Raccontare il “poeta del desiderio” ai giovani (e agli adulti) di un paese in cui, come scrive il Censis, c’è un calo del desiderio
Racconta come è nata l’avventura con Dante, e si capiscono molte cose, di lui e del suo metodo. Furono i suoi figli a chiederlo: insomma, lo insegni a scuola e a noi non ne hai parlato mai. “Così la domenica ci siamo seduti intorno a un tavolo a parlare di Dante con i miei figli più grandi e un paio di loro amici. La domenica seguente i partecipanti erano raddoppiati, quella successiva erano il doppio ancora: di domenica sera in domenica sera la cerchia si è allargata fino a superare le duecento persone. A un certo punto all’uditorio si è aggiunta qualche mamma, un po’ incuriosita e forse un po’ incredula che il figlio andasse veramente a un incontro su Dante; e sono state queste mamme a chiedermi di parlarne anche con loro. Nacque così un ciclo di incontri, bonariamente definito ‘Dante per le massaie’”. Poi col tempo “in un gruppetto di quei duecento la passione era cresciuta, alcuni di loro avevano cominciato a studiare Lettere all’università, e nel 2005 hanno dato vita a Centocanti, un’associazione di giovani, studenti e non, accomunati dall’amore per la Commedia. All’inizio lo statuto prevedeva semplicemente che ciascuno dei soci conoscesse un canto a memoria, così che l’intera associazione fosse una sorta di Divina Commedia vivente”. Alcuni di loro lo hanno aiutato per questo libro. “Infine, nel 2014 ho incontrato Gabriele Dell’Otto”.
Dante per Nembrini è innanzitutto il poeta della centralità del desiderio. Il desiderio del Tutto e della felicità tutta intera. Lo spiega con un’immagine di Ildegarda di Bingen che è il contrario, o il compimento, dell’Uomo Vitruviano caro al Rinascimento: questo segna da se stesso i confini dell’universo. Quello medievale di Ildegrada è pure posto al centro, ma attorno esiste il cosmo, fatto per lui, e le sue braccia, anziché misurare il mondo, sono abbracciate dalle braccia di Dio. Raccontare il desiderio ai giovani di un paese in cui, come scrive il Censis, c’è un calo del desiderio, desiderio di fare, costruire, crescere, rischiare. Parlare di Dante paragonandolo al Censis. Elementare, no? Non si capisce niente di sé né di Dante senza l’amore. Ma un amore intero, non i nostri spizzichi e bocconi. “La Commedia si comprende adeguatamente solo nella prospettiva della storia dell’amore di Dante per Beatrice e del dramma della morte di lei. La morte di Beatrice infatti scatena in Dante un naturale, umanissimo impeto di ribellione, un sentimento di ingiustizia. E allora vuol capire se la vita sia un immenso inganno oppure sia il compiersi misterioso della promessa di bene che sembra contenere”. Nembrini è uno che al suo pubblico (e colpisce molto anche i genitori) dice cose semplici e sconvenienti. Su Paolo e Francesca: “Nella vita non ci sono solo le emozioni, le attrattive; ci sono anche i fatti… La ragione della condanna di Paolo e Francesca all’inferno dunque non è che hanno disobbedito a un comandamento: è che hanno tradito se stessi”. Dov’è il peccato di Ulisse? “Ulisse, hai ragione, bisogna arrivare là”, sembra dirgli Dante: “Ma stai sbagliando strada. Perché non esistono scorciatoie, e non si tratta di girare il mondo: bisogna andare in profondità… La vera scoperta della vita non è vedere cose nuove, ma vedere nuove tutte le cose”. E il vero tradimento di Ugolino? “Il vertice del tradimento, il culmine vertiginoso di una vita tutta spesa a tradire amici e nemici: il tradimento della paternità. Non aver saputo essere padre”. Si parla di noi, Dante è vivo e lotta insieme a noi.