Carlo Giuffrè (foto LaPresse)

Con Carlo Giuffrè cala il sipario sulla grande tradizione napoletana

Eugenio Murrali

Con la morte dell'attore 89enne tramonta "l’idea di servire il pubblico in modo totale"

“Carlo portava dentro di sé il patrimonio delle grandi famiglie teatrali napoletane, ma, come coloro che sono strettamente legati a una tradizione, sapeva essere moderno”. Lo ricorda così Vincenzo Salemme, che nel 2016 lo ha diretto in "Se mi lasci non vale", ultima interpretazione cinematografica di Giuffrè, scomparso oggi, all’età di 89 anni. “Incarnava – prosegue il regista – un vecchio papà molto tenero, era bravissimo a rendere questo suo personaggio ambiguo, che nel film alternava momenti di arguzia a attimi di infantilismo. Era un grandissimo attore, aveva la forza del passato e la spregiudicatezza di chi guarda al futuro: era un porto aperto in cui potevano attraccare navi di tanti tipi”.

 

In lui sono state vive due esperienze fondamentali. C’era la storia della compagnia di Eduardo De Filippo, nella quale ha iniziato a recitare intorno ai vent’anni. Vi era approdato insieme al fratello Aldo, con cui aveva mosso i primi passi sulla scena nella seconda metà degli anni Quaranta. Ma nel suo corpo si esprimeva anche un altro modo di essere attore, quello che aveva maturato nella Compagnia dei Giovani con Giorgio De Lullo, Romolo Valli, Elsa Albani, Rossella Falk. Erano gli anni Sessanta, il tempo in cui la Compagnia proponeva letture indimenticate dei Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, le Tre sorelle di Cechov, la regia televisiva della Fiaccola sotto il moggio di Gabriele D’Annunzio.

  

Nello Mascia, che con lui ha recitato in "Miseria e Nobiltà" di Eduardo Scarpetta, ricorda nell’amico e maestro una grande ricchezza di emozioni espressive: “Era una gioia costante lavorare con lui. Una gioia che si rinnovava tutte le sere davanti a un pubblico straordinariamente grato”. Secondo Mascia, con la morte di Giuffrè e la recente scomparsa di Luigi De Filippo, cala il sipario sulla grande tradizione napoletana: “Quell’idea di servire il pubblico in modo totale non ci sarà proprio più. Era un grandissimo attore e un grandissimo direttore di compagnia. In lui c’era tanto rigore”.

 

Nella sua carriera non sono mancati i riconoscimenti. Quello del pubblico, prima di tutto – come ricorda anche Vincenzo Salemme – che lo seguiva con affetto e stima, ma anche un David di Donatello come miglior attore non protagonista nel 1984 per “Son contento” di Maurizio Ponzi.

 

Nel 2002 è stato Mastro Geppetto nel Pinocchio di Roberto Benigni, con una prova che molti ricordano, per quella dolcezza ruvida capace di ammantare ogni parola di profonda umanità. Pochi anni dopo, nominato Grande Ufficiale dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, l’attore ha diretto e interpretato "Il sindaco del Rione Sanità" di Eduardo De Filippo. In quel ruolo di Don Antonio Barricano, così amato da Eduardo stesso, Giuffrè condensava il suo lungo percorso di interprete, e anche lì se ne andava lasciando dietro di sé un mondo confuso che da quell’uomo in grado di crescere, di maturare e di essere, anche nella finzione della scena, aveva e ha tanto da imparare.

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