Ma quale Halloween, a Milano i morti si festeggiavano già negli anni Trenta
Delio Tessa tra gite al cimitero in mezzo a ragazze e avvinazzati
Si discute sulle radici americane (e un po’ blasfeme) della festa di Halloween, talora contrapponendola alla ricorrenza dei morti che cade oggi. I milanesi, però, potrebbero rivendicare una specie di primato, almeno letterario, nell’interpretazione grottesca della festa dei morti. Un poeta milanese, Delio Tessa, ha scritto negli anni Trenta una raccolta di poesie intitolata L’è el di di Mort, alegher!, contenente poesie in cui le tragedie della morte si intrecciano con celebrazioni quasi carnascialesche. In quella intitolata Caporetto 1917, con riferimento alla disfatta dell’esercito italiano durante la Prima guerra mondiale, rievoca il clima festoso della folla che si raccoglie al cimitero per il 2 novembre.
Torni da vial Certosa / torni del Cimiteri / in mezz a on someneri / de cioccatee che vosa / de baracchee che canta / eche giubbiana in santa /pas con de brasc la tosa /… / L’è el dì di Mort, alegher! / Sotta ai toppiett se balla / se ride e se boccalla / (Torno da viale Certosa / torno dai Cimiteri / in mezzo a un semenzaio / di avvinazzati che vociano / di festaioli che cantano / e che scherzano in santa / pace a braccetto della ragazza. / E’ il Dì dei Morti, allegri! / Sotto le pergole si balla / si ride e si tracanna;… ).
Tessa, che di mestiere faceva l’avvocato e il giudice conciliatore, ma preferiva scrivere, come giornalista sull’Ambrosiano e sul Corriere del Ticino. La raccolta L’è el dì di Mort, alegher! fu pubblicata nel 1932 ma passò inosservata, anche per l’ostracismo del fascismo nei confronti dei dialetti. Le altre sue opere sono state pubblicate postume.
Oggi è considerato uno dei maggiori poeti dialettali del Novecento, anche per l’originalità del suo linguaggio e la scelta tematica. Non si tratta solo di una contrapposizione sarcastica tra il tema della morte e il carattere dei festeggiamenti popolari: in Tessa non c’è traccia di moralismo. Il grottesco è la forma attraverso la quale esprime una visione cupa, storicamente tragica, in cui la “festa” dei morti richiama la tragedia di Caporetto, simbolo della umiliazione dei soldati, esponenti della miserevole condizione popolare dell’epoca. Anche in questa contrapposizione frontale con “l’Italia di Vittorio Veneto” di cui Benito Mussolini si considerava l’interprete, si trova la radice del suo antifascismo radicale. Il suo invito a godere gli attimi di felicità che la vita può dare, cominciando dalla festa dei Morti, è la conseguenza di una visione tutta legata all’inevitabilità della morte e della tragedia. Le radici culturali più vicine, la scapigliatura lombarda e il pessimismo romantico di Carlo Porta, vengono interpretate con una sensibilità più moderna, quella del decadentismo francese ma anche la grande tradizione russa, da Tolstoi a Dostoevskij.
Se durante la vita non ha avuto alcuna soddisfazione per il suo lavoro letterario, Tessa è stato celebrato (diremmo festeggiato riprendendo la sua tematica) dopo la morte. Dante Isella ne ha pubblicato le opere complete in pregevoli edizioni con commenti molto appropriati, Pier Paolo Pasolini lo ha apprezzato in Poesia dialettale del Novecento, Oreste del Buono gli ha dedicato un breve saggio dal titolo Tessa, tutto chiesa e case chiuse in cui riprende il suo sarcasmo.
La sensibilità particolare di Tessa per la morte, vero emblema della vita e persino della festa, può essere interpretata come un segnale di estrema vitalità, e in quanto tale precorritrice della festa americana di Halloween, compresi i suoi aspetti consumistici, anche se naturalmente il consumo dei tempi di Tessa era quello del vino andante da osteria (e di qualche prestazione sessuale mercenaria). Più vitale forse delle zucche di plastica che oggi vanno di moda.