Il battesimo di Clodoveo I ad opera di Remigio vescovo di Reims. Placca in avorio del IX secolo, Musée de Picardie ad Amiens

La Francia deve riscoprire lo spirito di Clodoveo oppure soccombere

Mauro Zanon

Il nuovo libro di De Villiers, su medioevo e romanizzazione

Parigi. “Oggi in Francia, il bivio è tra Clodoveo e il Corano. Non è una questione di culto, ma di cultura e di civiltà”. Philippe de Villiers, scrittore e intellettuale conservatore abituato a scuotere i benpensanti, non usa scorciatoie per descrivere la situazione in cui versa oggi il suo paese, consumato da un’immigrazione massiva che provoca tumulti nelle periferie delle sue metropoli e dal fallimento di un modello multiculturale imposto dall’alto. E l’occasione per tornare a far sentire la propria voce è l’uscita del suo ultimo libro “Le Mystère Clovis” (Albin Michel), una biografia appassionante di Clodoveo, il primo sovrano cristiano del regno dei Franchi, colui che fece della Francia la “figlia primogenita della Chiesa”. Ma perché scrivere oggi un libro su di lui? “Siamo in un periodo di grande disordine. Quando non sappiamo più dove abitiamo, la cosa più saggia da fare è tornare indietro per sapere da dove veniamo. Clodoveo è il primo muro portante dove possiamo appoggiare la nostra mano. Sostiene l’architrave e la piccola dimora invisibile delle filiazioni francesi”, ha dichiarato al Figaro De Villiers, prima di aggiungere: “Clodoveo è il re fondatore per due ragioni: è lui che ha disegnato la prima veste della Francia riunendo dei territori, dei popoli e dei regni con le sue vittorie; convertendo al cristianesimo i Goti ariani. Senza Clodoveo, la Gotia avrebbe sostituito la Romania. La seconda ragione è l’essere stato il continuatore della romanitas. Quando ha sconfitto i Visigoti a Vouillé, ha ricevuto davanti alla tomba di San Martino – l’apostolo dei Galli – il titolo di console, la clamide di porpora e il diadema d’oro. In altri termini, è diventato il continuatore di Roma. Il conquistatore si lascia conquistare dalla sua conquista. Si civilizza, aspira a diventare un barbaro romanizzato: che lezione!”.

 

Per colui che fu sottosegretario alla Cultura del governo francese sotto la presidenza Mitterrand, prima di diventare uno dei pensatori di riferimento della destra repubblicana, ci sono diverse similitudini tra la caduta dell’Impero romano e l’attuale decadenza della Francia e dell’Europa. “A un certo momento la nobiltà senatoria romana non considera più il limes, la frontiera dell’Impero, come qualcosa che deve essere protetto urgentemente. In quel preciso istante, inizia a non esserci più differenza tra i cittadini e gli stranieri. Perdendo il limes, Roma perde la sua fierezza e indebolisce la sua capacità di difendersi. Quando non c’è più una frontiera, l’identità si diluisce”, spiega De Villiers. La seconda similitudine è la “paresse” delle élite, sottolinea lo scrittore francese, cioè la pigrizia per colpa della quale vengono abbandonate “le terre ai barbari”. “Il rifiuto del servizio militare incoraggia i Romani immersi nell’ozio a confidare la propria sicurezza ai Goti e ai Vandali, così come oggi si lasciano lavorare gli schedati ‘S’ (gli individui radicalizzati, ndr) all’aeroporto di Roissy-Charles de Gaulle”, dice De Villiers.

 

E qui arriviamo al punto centrale dell’analisi dello scrittore francese. Un’analisi che inizia a essere condivisa anche a sinistra. Olivier Faure, presidente del Partito socialista, ha denunciato la scorsa settimana una “colonizzazione al contrario in certi quartieri”, François Hollande, quando era ancora presidente, utilizzò il termine “secessione” per descrivere la realtà di alcune banlieue islamizzate alle porte di Parigi, e Gérard Collomb, ex ministro dell’Interno dimessosi in polemica a inizio ottobre, ha parlato di intere zone in mano agli “islamisti”. Cosa fare allora? Avere il coraggio di affermare ad alta voce, senza il timore di essere tacciati di islamofobia, che esiste un “noi”, con dei valori e un capitale di autoctonia che va difeso, e un “loro”, come ha scritto anche Jean Birnbaum del Monde nel suo ultimo saggio, “La Religion des faibles” (Grasset). “O la Francia muore, o la nostra nazione si risolleva e si rende conto che ha una storia condivisa, da proteggere e glorificare. Abbiamo un’arte di vivere, la nostra, e non l’halal. Una lingua, la lingua francese, e non la lingua araba”, dice De Villiers. Un discorso che vale per l’Europa intera, il nostro fragile e meraviglioso santuario da difendere.

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