Con la storia dell'embrione Damien Hirst ha sbattuto contro i tabù dell'islam
L’artista iconico dell'Occidente in Qatar. Un clash interessante
Damien Hirst eccelle soprattutto in una cosa: come nessun altro artista sa parlare alla pancia delle redazioni. Qualsiasi cosa faccia o desideri comunicare, offre arguzie alla macchina da calembour. Dunque è diventato l’artista con maggiore fortuna mediatica degli ultimi decenni. Ma c’è genuinità nella sua ispirazione, per quanto camuffata o sfruttata nelle ragioni del mercato, per questo alcune delle sue opere reggeranno al giudizio della storia. In pochi, negli ultimi 25 anni, hanno parlato dell’enigma della vita e della morte con la stessa spregiudicata energia. Sfidando o titillando i tabù dell’occidente e della sua (ir)religione, a partire dalla sua icona, lo squalo in formaldeide, che porta il nome-calembour “The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living”. Ma questa volta (anzi già cinque anni fa) l’artista iconico dell’occidente quando si sentiva meglio di oggi è andato a sbattere contro i tabù di un’altra parte del mondo e di un’altra religione, l’islam. E il clash è interessante. Sempre che, trattandosi di Hirst, non sia tutto un calembour mediatico.
Sulla vicenda dello svelamento a Doha di “The Miraculous Journey”, dopo quello già avvenuto nel 2013, non c’è nulla o quasi che non sia già stato detto allora. Stiamo parlando della serie di 14 bronzi monumentali che raffigurano lo sviluppo dell’embrione umano dal concepimento alla nascita. L’artista rappresenta quasi tutti i soggetti inserendoli nella cornice dell’utero materno, mostrando anche l’apparato riproduttore femminile (cosa un po’ forte in un paese dove il niqab va forte). Un’opera commissionata dal Sidra Hospital della capitale qatariota, un centro per la cura della madre e del bambino, che ha aperto i battenti ufficialmente negli scorsi giorni.
All’epoca, cinque anni fa, le sculture vennero installate in occasione della più grande mostra della carriera di Hirst, intitolata “Relic” e la notizia, di una certa rilevanza, fu che per l’acquisto di “The Miraculous Journey” si sborsarono 17 milioni di dollari. Oggi tornano a essere visibili alle mamme che entrano nell’ospedale e al mondo. Alla prima inaugurazione seguirono polemiche sia a livello locale sia in occidente. Hirst definì la scelta “molto coraggiosa da parte del Qatar, poiché questa è la prima scultura di nudo in medio oriente”. La sorella dello sceicco di Doha Sheikha al Mayassa Hamad bin Khalifa al Thani, presidente della Qatar Museums Authority, che Art Review l’anno prima aveva messo in testa alla classifica delle personalità più influenti del mondo dell’arte, argomentò: “C’è un versetto del Corano sul miracolo della nascita, quindi non è contro la nostra cultura o religione”. Dopo alcuni mesi le opere vennero coperte, secondo la versione ufficiale, perché non si rovinassero nel contesto del vicino cantiere dell’ospedale. I media occidentali furono sicuri che, in realtà, si trattava di una resa alle pressioni degli integralisti che si scatenarono online. Nel frattempo, i siti pro life americani lodarono l’operazione titolando “Il cattivo ragazzo fa la cosa giusta”, mentre i quotidiani liberal certificarono, per l’ennesima volta, la morte artistica di Hirst.
Ma tutto ciò è storia. Riproposta negli ultimi giorni come se stesse accadendo in diretta. Di nuovo, per la verità, c’è una timida dichiarazione in un video del Guardian di Layla Ibrahim Bacha, specialista di arte della Qatar Foundation che afferma: “Non ci aspettiamo che tutti amino queste sculture né le capiscano. Sono qui per creare un elemento di dibattito e di riflessione”. Una battuta che avrebbe potuto dire qualsiasi ufficio stampa occidentale. Nel frattempo, sul sito di Gulf news, il quotidiano locale in lingua inglese, l’ultima notizia sull’artista risale al 2012. Su al Jazeera? Idem. Non proprio un tema caldo. Se scandalo c’è stato, e Hirst gode a seminare scompiglio, ormai ce lo siamo lasciati alle spalle da diverso tempo. Tuttavia il Qatar torna a credere nella commissione fatta e la mostra con orgoglio ai media stranieri. Forse la vera notizia è questa. Soprattutto se si pensa che, nel frattempo, il principe saudita Mohammed bin Salman, si è assicurato all’asta il “Salvator Mundi” di Leonardo da Vinci per 450 milioni di dollari (mai opera fu pagata così tanto) e ha annunciato al mondo che sarebbe stata esposta al Louvre di Abu Dhabi dallo scorso settembre.
A confronto, l’infantile affronto di Hirst al senso del pudore islamico, appare ben poca cosa. Che un membro della famiglia custode dei luoghi più sacri dell’islam spenda una cifra a otto zeri per comprare l’immagine del profeta Gesù di Nazareth, ritratto secondo l’iconografia del “salvatore del mondo”, appare quanto meno una resa troppo evidente all’idolatria cristiana. E infatti, dal suo acquisto, della tavola di Leonardo non si hanno più notizie. Si dice che sia chiusa in chissà quale caveau in giro per l’Europa. Gli esperti discutono sull’autografia dell’opera. Possibile che il principe abbia cambiato idea per ragioni religiose? Possibile che non abbia pensato alla portata di un gesto simile prima di sborsare tutti quei milioni? Ma magari ci ha pensato. E allora sarebbe questa la vera provocazione.