Degna povertà
Vivere la miseria senza accusare il mondo sfruttatore. Il capolavoro di James Still finalmente in italiano
Roma. E’ possibile vivere la povertà con dignità, senza accusare il mondo malvagio o puntare il dito contro i ricchi epuloni sfruttatori. Lo si può anche raccontare, come ha fatto James Still (1906-2001), nome che al di qua dell’oceano dice poco, ma che negli Stati Uniti qualche traccia l’ha lasciata. Meritoria è stata la casa editrice Mattioli 1885, che ha scovato, stampato e pubblicato Fiume di terra, opera del 1940, scritta appena un anno dopo il ben più noto Furore di John Steinbeck. E’ il grande romanzo della povertà vissuta da una famiglia del Kentucky orientale, costretta a spostarsi anno dopo anno alla ricerca di qualcosa che permettesse di tirare avanti e di dare un senso alla propria esistenza. E’ l’epoca che segue il boom del carbone, la breve stagione che aveva fatto sognare due generazioni di americani, convinte di aver trovato davvero l’oro in quelle pietre nere scavate nelle viscere della terra. Ma le miniere iniziano a chiudere, migliaia di uomini non sanno che fare, vagano di vallata in vallata, salgono e scendono gli Appalachi fermandosi in qualche campo per minatori o prendendo in affitto vecchie fattorie.
Scrive il traduttore Livio Crescenzi nella Nota finale: “Famiglie intere senza terra, senza lavoro, affamate e confuse” che non comprendono lo stravolgimento sociale in corso. L’industrializzazione sovverte un mondo che fino ad allora aveva funzionato, c’era di che nutrirsi e di che vestirsi. Poi, in un attimo, tutto cambia. Still affida il racconto alla voce di un bambino, i cui occhi vedono tutto: i cugini che affamati mangiano i fagioli semicrudi, l’orto coltivato che fomentava l’invidia del vicinato, il desiderio della madre – sempre più magra – di avere una giumenta per poter dare il latte al figlio più piccolo. I silenzi del padre, convinto che prima o poi le miniere sarebbero state riaperte, perché “i fuochi continueranno a bruciare in tutto il mondo e devono essere alimentati”. “Sono nato per scavare pietre”, ripete ogni volta che la moglie lo supplica di fermarsi, di tagliare i ponti con una vita raminga. Lei vuole mettere radici, magari mandare i figli a scuola e frequentare la chiesa – “Quanto mi piacerebbe ascoltare un sermone. Altroché se mi piacerebbe”, dice. E’ uno scenario straziante.
Vita e morte
La vita e la morte convivono in un modo naturale che agli occhi del lettore occidentale del XXI secolo appare disumano. Still è asciutto, essenziale anche quando dà conto, molto avanti nel romanzo, della morte del piccolo Little Green: “Ci trasferimmo nella fattoria durante una gelata di marzo, e in quella settimana il piccolo morì di laringite difterica”. Fine, non una parola in più. Altrettanto netto il commento del capofamiglia, poco convinto dell’utilità di organizzare una cerimonia funebre per il suo ultimogenito: “Non aveva ancora nemmeno imparato a camminare. Non ha alcun senso fargli un grande funerale”. Le privazioni fanno parte del quotidiano – “Mamma sapeva che la riserva di fagioli essiccati in autunno non sarebbe durata fino al nuovo raccolto. Nell’essiccatoio erano rimasti una mezza dozzina di ossa buona per la zuppa e alcuni pezzi di cotenna con un po’ di pancetta; durante il mese di dicembre, insolitamente caldo, una spalla di maiale aveva fatto i vermi per cui era stata gettata via” –, la violenza è una presenza costante: “Udimmo i suoi passi pesanti sui gradini dell’ingresso, le assi del pavimento che scricchiolavano sotto il suo peso, e un colpo di pistola”. Eppure, a risaltare alla fine sono la dignità, l’amore per il prossimo e perfino l’umorismo. La povertà è il filo conduttore, ma chi cercasse nelle duecento pagine di Fiume di terra un’analisi sociologica, così in voga oggi, resterebbe deluso.
Time, recensendolo, ha scritto che è “la poesia di un mondo, vista attraverso gli occhi di un bambino, resa in uno stile asciutto e mai sentimentale. Un’opera d’arte”. Tutto vero. La migliore definizione, però, è quella che James Still mette in bocca a Fratello Sim Mobberly, il vecchio predicatore curvo dalla folta barba: “Questi mondi sono solo onde di terra, che si dilavano nell’eternità. Non c’è un monte che si erga orgoglioso che non possa però sprofondare nella melma del dolore”.
Universalismo individualistico