Il presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelski (Foto Imagoeconomica)

Perché l'analisi di Zagrebelsky su fascismo e costituzione è miope

Alfonso Berardinelli

L’editoriale drammatico e ideologico su Repubblica e le brillanti paranoie di Umberto Eco

La categoria degli intellettuali è un albero dai molti rami. Ogni ramo ha le sue storture. Gli artisti sono intuitivi e caotici, suggestionabili e deboli di carattere. Gli scienziati credono che fuori delle scienze naturali tutto sia vergognosamente infondato. I filosofi sono convinti di avere il monopolio della vera intelligenza, la più logica, o la più essenziale, o la più globale. I giuristi… ecco, volevo parlare dei giuristi perché ho letto un ampio sermone di Gustavo Zagrebelsky uscito come editoriale sulla Repubblica del 24 novembre. Zagrebelsky precisa di parlare in veste di costituzionalista e lo fa per una precisa ragione. Tutti gli altri, dice, parlano e “occupano la scena”: i politologi, gli storici, i sociologi, i giornalisti, i politici, la gente comune. “Tutti, insomma, meno che i costituzionalisti”, volendo sottintendere che il loro silenzio è il più grave in una congiuntura politica e culturale in cui la democrazia fondata sui princìpi della nostra Costituzione è drammaticamente in pericolo.

 

La drammaticità della situazione Zagrebelsky la esprime nel tono drammatico e in sostanza più ideologico e morale che giuridico e politico del suo discorso. Un discorso che vuole e sembra essere chiaro, ma finisce per non esserlo. Dopo aver diviso la società in “strato” di superficie e “substrato” di sostanza, Zagrebelsky si occupa del substrato non parlando da costituzionalista ma anche lui da storico, sociologo, psicologo, filosofo morale, persona comune e non so che altro. Il substrato (dice infatti) “è molte cose pesanti: valori e interessi, rapporti di dominanza e sudditanza, interessi e bisogni, speranze e disperazioni, credenze e illusioni, miti e credulità, amicizie e inimicizie, altruismo ed egoismo, legalità e corruzione, sopraffazioni e violenze, cultura e ignoranza”.

 

Be’, non c’è male. Preso da un raptus di enciclopedismo etico, il costituzionalista non si rende conto che il substrato sociale di cui vorrebbe parlare meriterebbe un ambizioso programma di ricerche e di analisi interdisciplinari per il quale ci sarebbe bisogno (più che di giuristi) di antropologi, psicologi sociali, storici della società e della cultura e magari di moralisti di quel tipo che si trova prevalentemente fra chi scrive e studia letteratura, il meno specializzato, il più eclettico e polimorfo dei rami culturali.

 

La Costituzione (ecco il punto) di cui sarebbero ormai custodi soltanto il presidente della Repubblica, la Corte costituzionale e lo stesso Zagrebelsky, è minacciata dal “sangue misto (sic!) che scorre nelle vene della società”. La forza dei fatti sociali fondamentali (il substrato) assedia le leggi fondamentali dello stato (lo strato). Senza dubbio un bel tema, di quelli ancora più longevi e insuperabili dell’immaginario “fascismo eterno” di cui parlò Umberto Eco e di cui vuole riparlare Zagrebelsky con il suo aiuto.

 

Siamo dunque all’ipse dixit di Eco, citato per la milionesima volta come “l’uomo che aveva sempre ragione”. Si è sospettabili di fascismo eterno e di nostalgia del suo eterno ritorno per una quantità di ragioni che vanno, dice Eco, dalla “identità aggressiva e purismo etico” al “rifiuto della modernità e tradizionalismo reazionario”, dall’“irrazionalismo e primato dell’azione sulla riflessione” al “decisionismo” al “culto della forza”, all’“esaltazione dell’uomo medio e del senso comune” fino all’ostilità verso il “cosmopolitismo”. L’elenco è così lungo, ovvio da un lato e furbesco dall’altro, che senza peccato resta forse soltanto Eco e Zagrebelsky, non del tutto immuni, tuttavia, da un “purismo etico” che fomenta una “identità aggressiva”. D’altra parte, come campione di “uomo medio” e maestro di “senso comune” Eco non scherzava: il suo successo non si fondò proprio su questo? (fermo restando che l’uomo medio e il senso comune del 1980 non erano quelli del 1950).

 

Culturalmente parlando, ci sarebbe da discutere a lungo. Osservo soltanto che seguendo le categorie di fascismo etico eterno secondo Eco-Zagrebelsky, andrebbero messi sotto accusa tutti gli uomini politici dai più grandi ai minuscoli (decisionismo e culto della forza), non pochi marxisti (primato dell’azione), filosofi e scrittori moderni liquidabili come irrazionalisti e diffidenti della modernità (Schopenhauer, Leopardi, Kierkegaard, Tolstoj e Dostoevskij, Baudelaire, Nietzsche, Kraus, Eliot, Orwell, Adorno, Montale, Gadda e don Milani). Tutto il catalogo dell’Adelphi (responsabile Roberto Calasso) avrebbe alimentato sostanziosamente e per decenni il fascismo eterno offrendo ai lettori complessità e profondità da “substrato”.

 

D’altra parte sarebbe fascista il “common sense” inglese, e il pragmatismo americano, innegabilmente un po’ orientati verso un qualche culto della forza. Il fascismo eterno è un’idea metastorica non immune da una vaga paranoia. E’ vero però che i suoi ingredienti sono presenti dovunque. In casa e in famiglia, in fabbrica e in ufficio, al bar e nello sport, nella pubblicità, nel cinema, nei fumetti, nei videogiochi e in tutta la cultura di massa, nei partiti e nella lotta politica, nell’idea di una necessaria competizione mercantile e nello sviluppo economico ininterrotto. Posso capire il pessimismo stizzoso di Zagrebelsky, le brillanti paranoie di Eco. Noto soltanto che la loro analisi sociale e politica del presente è generica, storicamente miope, consola una fiacca identità di sinistra e non aiuta a riflettere.

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