Leggere Elena Ferrante e Matilde Serao per credere all’amicizia assoluta tra donne
"Ti ricordi quante cose abbiamo fatto che ci facevano paura? Ho aspettato te apposta", risponde Lila, la geniale, a Lenù, la geniale sottotraccia, quando lei le dice di avere paura. E’ uno dei molti momenti della tetralogia di Elena Ferrante in cui le due protagoniste si prendono per mano e vanno incontro a tutto. Maschi, mare, Napoli, campagne, burroni, risse, libri, compiti, adulti, competizione, confronti (tra l’una e l'altra, tra loro due e il resto, tra ciascuna e la solitudine). Tutto.
“Quello che fai tu, faccio io”, dice Lenù a Lila. Prendersi per mano è la cosa che fanno più spesso in “L’amica geniale”
“Quello che fai tu, faccio io”, dice Lenù a Lila, quando buttano via le loro bambole di pezza. Prendersi per mano è la cosa che fanno più spesso, nel libro e nella serie tv che ne ha tratto Saverio Costanzo e che è iniziata ieri sera su Rai 1 e Tim Vision (una settimana fa negli Stati Uniti; sul New York Times c’è addirittura un piccolo forum per discutere su ciascuna puntata). Come Thelma e Louise, anche loro dentro a un film. Tra le ragioni del successo della tetralogia di Ferrante e della sua trasposizione c’è che è così difficile credere alle amiche, all’amicizia femminile, che leggerne o vederne un racconto rinfocola la speranza e il desiderio di averne e insaporisce la narrazione dell’ingrediente di cui siamo più ghiotti, in questo momento: il riscatto (che non va solo inteso come un passaggio di condizione, ma pure come ribaltamento, un inatteso che accade e ci sbalordisce). Perché le donne non si pigliano, ma s’accapigliano, e s’invidiano, si soffocano, si scavalcano. Così dice il cliché. Ed è un cliché nato, poi allevato e pasciuto, in seno alla letteratura, che le amiche non solo non le ha raccontate per secoli, ma le ha osteggiate, a volte persino ridicolizzate, negate. In “De l’amitiè” (1580), Montaigne scrisse che c’erano gli amici maschi e basta: femmine niente, “ce genre est rejettè”. Stesso valse per Boccaccio, che non lo formalizzò, ma scrisse novelle nelle quali le donne erano persino un ostacolo alle amicizie maschili e questo è un altro filone, o tratto, o specifico ricorrente di quasi tutta la letteratura occidentale canonica, che s’è poi riversato nella sociologia culturale spicciola (da bar, diciamo), nella storia quotidiana, nel costume, nell’educazione sentimentale. Due illustri esempi: Yoko Ono e Chiara Ferragni, entrambe accusate di aver indotto i propri compagni a rompere i loro sodalizi artistici, che prima di ogni cosa erano sodalizi amicali, perché se c’è un’idea potente (resistente), sulle donne, è che siano possessive e gelose abbastanza da non ammettere, per mariti e compagni, altre relazioni all’infuori di quella che le coinvolge.
Per le donne, gli amici si dividono, se le danno, s’ammazzano o si fanno ammazzare (succede nel Decameron, nei film di Verdone, Bertolucci, Truffaut e in tutto quello che c’è in mezzo e anche dopo). “Pensavo che ci saremmo fidanzati e saremmo stati sempre tutti e tre insieme, io, tu e la tua amica”, dice a Elena Nino Sarratore, quando le confessa di averla amata, da ragazzino. Non lo pensa per rispetto e ammirazione di quel nodo che stringe Lila e Lenù, naturalmente: lo pensa da una parte per istinto predatorio, lui che in “L’amica geniale” assomiglia al Gassman di “C’eravamo tanto amati” (altro film dove una donna sfascia un’amicizia maschile); dall’altra parte lo pensa perché riconosce, come tutti, che Lina e Lenù sono indissolubili, se prendi una paghi due. Come Evelyn e Ninny in “Pomodori Verdi Fritti”, quando Evelyn (Kathy Bates) impone al marito di convivere con la sua amica Ninny, e lui si oppone, e lei lo minaccia di sfasciare il salotto (come ha fatto il giorno prima). “La narrativa dell’amicizia in genere si concentra negli uomini”, scrive Dakota Fanning all’inizio di un saggio su Matilde Serao, scrittrice e giornalista che, in Italia, e quindi in Europa, a metà dell’Ottocento, di amiche riempì i suoi romanzi, ne fece un tratto costante e onnipresente come nessuno e nessuna mai prima di lei. Matilde Serao nacque a Patrasso, da babbo napoletano e a Napoli diventò chi è stata (tra le varie cose, direttrice e fondatrice di giornali). Prima di lei, nota Fanning, l’amicizia femminile aveva cominciato a fare capolino nel romanzo occidentale a partire dal Settecento, ma sempre sullo sfondo e sempre come tema subalterno, attore non protagonista.
Il biografismo forzoso che Ferrante ha disintegrato è quello nel quale una donna si fa accompagnare da un’altra
Per Serao le amiche sono tema cardine del suo lavoro ed è questo che le consente di evitare i finali di sempre, e cioè gli amori totalizzanti, i matrimoni, la maternità: “Il vincolo matrimoniale nei suoi romanzi coincide con l’inizio di una serie di osservazioni negative sul rapporto amoroso”. I rapporti tra i suoi personaggi (“personagge”) sono così intensi che in molti hanno letto, in questa sua insistenza, un trucco per scrivere di amore omosessuale. E’ una lettura forzata che è il prodotto culturale di quella incapacità di credere nell’amicizia femminile come valore e tema assoluto, e appagante, ed esaustivo. La stessa Serao, d’altronde, scrisse e disse diverse volte che non riusciva a ritenersi femminista perché non riusciva a immaginare che una donna riuscisse a non mettere al primo posto, nel suo cuore, l’amore per un uomo. Elena Ferrante ha sfasciato questo condizionamento, rendendone evidente la persistenza. Ha scritto di due vite dove tutto dipende da un’amicizia: è così raro da sembrare uno scandalo. La dipendenza che creano i suoi libri, e che hanno poco a che fare con il fascino della sua assenza e del suo anonimato, vengono dall’apertura di questa breccia, principiata da Matilde Serao, ragazza di Napoli come Lila e Lenù, e forse anche come Elena Ferrante, chiunque sia, ammesso che sia una sola persona e non, invece, un duo, o addirittura un collettivo. “In tutti i suoi libri e anche nei suoi pezzi per il Guardian, ha tentato di dimostrare che la scrittura femminile non è per forza radicata nel biografismo”, ha scritto Rachel Donadio sull’Atlantic. Il biografismo forzoso che Ferrante ha disintegrato è quello nel quale una donna si fa accompagnare da un’amica. Le sue amiche, invece, vivono l’una per l’altra.