Mobbing a Cambridge contro il docente che fa ricerca sull'immigrazione
Centinaia di baroni contro l’arrivo di Noah Carl
Roma. “Il mobbing è diventato lo strumento alla moda per gli accademici per limitare la libertà accademica”, commenta il magazine libertario britannico Spiked. L’ultima vittima è Noah Carl, giovane studioso arruolato dall’Università di Cambridge. Il suo lavoro abbraccia la psicologia, la sociologia e la politica, esplorando l’atteggiamento nei confronti dell’immigrazione e le spiegazioni per il voto sulla Brexit. Trecento professori e accademici di tutto il mondo hanno firmato una lettera aperta in cui si denuncia la sua nomina e se ne chiede l’immediata cacciata dal celebre ateneo inglese.
L’anno scorso, studiosi dell’Università di Oxford avevano scritto una lettera aperta simile denunciando il loro collega Nigel Biggar, professore di rango di teologia morale, per le sue affermazioni troppo indulgenti e positive nei confronti dell’imperialismo britannico. I firmatari della lettera contro Carl sostengono che il suo lavoro è stato “usato dall’estremismo di destra allo scopo di alimentare la retorica xenofoba contro gli immigrati”, niente meno. Clément Mouhot, professore di Matematica a Cambridge e uno degli organizzatori della protesta, ha detto: “L’analisi accademica dei lavori di Carl rivela chiaramente l’uso selettivo di dati e metodi statistici non corretti e che sono stati usati per legittimare gli stereotipi razzisti. A mio avviso, ha fatto molte cose che sono inaccettabili nel mondo accademico e che possono essere legittimamente descritte come pseudo-scienza”.
Il fatto che centinaia di accademici abbiano attaccato un giovane studioso in quanto “razzista” e che l’abbiano accusato di negligenza accademica, senza offrire alcuna prova a sostegno delle loro accuse, dovrebbe essere uno scandalo. Tanti altri docenti si sono schierati in difesa di Carl. Come Cass R. Sunstein, docente ad Harvard, il quale ha scritto: “La libertà accademica è sempre una buona idea. Firmare lettere congiunte che accusano accademici di cose terribili in connessione con il loro lavoro accademico e che richiedono indagini di solito è una cattiva idea”. O Tyler Cowen, economista alla George Mason University: “Questo è un classico caso di caccia alle streghe politicamente motivato”. E ancora Jeff McMahan di Oxford. Lo scorso settembre Germund Hesslow, professore di neurofisiologia a Lund, in Svezia, era finito sotto inchiesta per avere affermato che esistono differenze biologiche tra maschi e femmine. Al professore è stato chiesto dai vertici dell’Università di scusarsi pubblicamente. Un mese dopo, in Francia, un professore di Filosofia di Tolosa, Philippe Soual, si è visto cancellare un corso che doveva tenere da novembre a febbraio su Hegel dall’ateneo Jean Jaurès di Tolosa, dopo che Soual è stato accusato malignamente da un’associazione di studenti di essere un “portavoce della Manif pour tous”, il movimento che ha riempito le piazze di Francia per manifestare a favore dell’unicità del matrimonio tra uomo e donna. E migliaia sono le firme raccolte contro il fisico italiano Giovanni Strumia, reo di non credere alle quote rosa nel mondo scientifico.
Diritto naturale, passato coloniale, islam: nelle università occidentali esistono ormai delle “zone proibite” di pensiero e di ricerca. Avventurarcisi, per un giovane ricercatore o un veterano dell’insegnamento, può significare la distruzione della propria carriera accademica e la pubblica esecrazione intellettuale. Un tempo si discuteva dell’esistenza nelle società aperte di un “corridoio” garantito a opinioni e idee controcorrente. Quel corridoio si è da tempo chiuso e al suo posto è stato alzato un muro di gomma.