Sarah Pinborough, Madama crudeltà
I tarocchi dell’horror e del thriller. Il sesso, la violenza e il successo vittoriano delle serie tv. Intervista alla scrittrice
I libri sono come le persone. Hanno una loro identità, vera o presunta, e spesso ci rivolgiamo ad essi con gli stessi criteri di attrazione o diffidenza, a partire dalle poche informazioni che intravediamo all’apparenza. Gli scaffali e le loro diciture dovrebbero aiutarci in questa preselezione sommaria, non dissimile dalle caratteristiche con cui selezioniamo una persona su un social media. Ma cosa succede quando, leggendo un libro che crediamo appartenere a un genere, scopriamo lentamente che il piacere insito nella sua struttura e in quell’orizzonte narrativo, che parevano tanto gradevolmente noti, proviene invece da una fonte immaginativa del tutto diversa? Credevamo di leggere il mondo attraverso determinate lenti, e invece erano tutt’altre, esattamente come quando scopriamo, con turbamento e forse eccitazione, che una persona non è affatto quel che sembrava. Che a fissarci, turbarci e sedurci è letteralmente qualcun altro. E’ quanto accade in Dietro i suoi occhi, bestseller (con un prossimo adattamento seriale) di Sarah Pinborough, imperniato appunto su questo agghiacciante – e divertente – ribaltamento prospettico, che è anche una dichiarazione programmatica di sfida agli steccati dei generi, un’inversione che non si può svelare senza guastare il brivido retrospettivo che coglie a fine lettura. Lo stesso avviene (in una modalità più tradizionale ma non meno efficace e sottile) ne L’amica del cuore (a sua volta pubblicato da Piemme) dove quella che parrebbe di primo acchito una tristemente usuale vicenda di stalking si rivela man mano solo la prima corteccia d’una sanguinosa serie di cerchi concentrici; entrambi i romanzi d’ambientazione londinese assumono la cornice di quelli che Kameron Hurley definiva ironicamente “storie-con-donne-che-hanno-un-segreto-e-bevono-molto” per poi perfidamente giocare al gatto col topo con la nostra tendenza agli schemi precostituiti, agli stereotipi; ciò nel caso della Pinborough costituisce anche una sorta di leitmotiv d’una carriera decennale, tutta improntata sullo sconfinamento tra gli universi letterari ed editoriali: il gotico, il vittoriano, il poliziesco, lo young adult, il thriller e l’horror. Incontro Sarah Pinborough a Milano nei giorni del Noir in Festival, dove Jo Nesbo ha ricevuto il Premio Chandler. In lei colpisce subito la franchezza divertita e orgogliosa nel sapersi “un’intrattenitrice”, definizione che ritiene andrebbe tenuta in assai maggiore stima della supponenza accordatale da tanti colleghi che si considerano impegnati. “Alla fine d’una settimana orribile non riesco a immaginare niente di meglio che immergermi e perdermi in un libro, ed è questo che cerco di fornire a mia volta”.
Una carriera improntata sullo sconfinamento tra gli universi letterari ed editoriali: il gotico, il vittoriano, il poliziesco, l’horror
Conversiamo estraendo idealmente alcuni di quelli che Stephen King definiva i tarocchi del thriller e dell’horror, quelle immagini che continuano ad affiorare dall’inconscio d’una società che, come scrisse Peter Conrad delle storie di Hitchcock, “si è evoluta troppo in fretta”, e conserva molti anfratti oscuri. Il primo è l’uomo-belva. Le ricordo la scena nel Silenzio degli innocenti dove il cannibale Lecter spiega all’agente Starling come, per trovare il serial killer che sta cercando, debba anzitutto chiedersi cosa questi faccia. E la risposta non è “Uccide” ma “Desidera”, esattamente come lei. Un grande passaggio metaletterario. Credevamo di braccare un mostro confortevolmente fuori di noi e invece dovevamo anzitutto guardarci allo specchio. Le domando dunque quali siano stati gli specchi oscuri nella letteratura che l’abbiano attirata fin da bambina, consapevole che in quelle tenebre l’attendeva qualcosa di molto intimo e personale. “Daphne du Maurier, so che a molti non risulta così spaventosa, ma amo la sua suspence e l’atmosfera di paranoia, una dimensione che credo riguardi la vita di tutti. Stephen King, che è un grande creatore di personaggi; ovviamente anche in lui non si tratta mai del mostro esterno, ma dell’oscurità dentro le nostre vite. Mi ha sempre affascinato la dualità umana. Francamente non credo esistano molte persone davvero buone, vengono rapidamente consumate. Siamo perlopiù persone cattive che fanno cose buone, ma basta che ti allontani di tre chilometri dalla civiltà e ottieni il caos, e se ammettessimo di essere meno carini di come pretendiamo, potremmo davvero migliorare la società. E poi dovrei citare Dorian Gray, così contemporaneo nella sua analisi del potere della giovinezza, e Dracula, per la paura e l’esplorazione della sessualità femminile, e la paura che essa suscita”.
E’ interessante che citi proprio Dracula, perché il romanzo di Stoker contiene anche il padre di tutti i serial killer contemporanei, il folle Renfield che vorrebbe imitare “il maestro” e si limita a uccidere insetti e uccelli. Tutti i romanzi sui serial killer hanno a che fare con un ideale, oscuro o luminoso, ma sempre irraggiungibile. “Assolutamente! E Renfield ha anche una grande tragicità comica, perché c’è molto d’ironico nella nostra oscurità”.
“Ho amato ‘Gomorra’… è il vostro ‘Game of Thrones’. Parteggiavo per tutti, anche per i personaggi più sgradevoli”
Patrick Rothfuss una volta disse che gli risulta più facile comprendere la sua scrittura a partire da ciò che non gli piace in altri autori; le domando cosa non ami nei thriller e horror altrui, cosa non funzioni. “A dire il vero, non c’è una singola situazione narrativa nella quale non mi addentrerei. A respingermi è sempre e solo la cattiva scrittura. Prendi 50 Sfumature di grigio. C’è chi ha sostenuto che fosse un libro su tematiche come l’abuso e la violenza, ma non è vero. L’obbiettivo era lo stesso d’un film come Secretary, che era davvero sexy e divertente, cosa che 50 Sfumature a mio giudizio non è. Per me, che provengo dall’horror e adesso scrivo thriller, è anche interessante notare come certa struttura dei polizieschi stia infiltrandosi nell’horror, per cui i nuovi autori anticipano sempre di più lo spavento a scapito dell’atmosfera, esattamente come nei polizieschi dove bisogna incappare nel cadavere già a pagina sette”.
Qual è dunque la differenza tra horror e thriller, visto che entrambi ci espongono a emozioni addirittura preistoriche come la paura del buio, la solitudine in un mondo ostile, o la diffidenza verso l’altro? “Il thriller si basa sull’enigma centrale, sugli indizi da risolvere, sul desiderio di correre tra le pagine, e la paura deve comprendere una soluzione finale, una spiegazione, anche solo per il lettore, mentre l’horror può benissimo lasciarti agghiacciato e senza risposte. Il thriller ti porta in posti molto brutti, ma con la garanzia in qualche modo di uscirne alla fine, e il terrore comprende sempre una sua spiegazione. L’horror può esporti all’oscurità e lasciarti lì, ed è per questo che per me Il silenzio degli innocenti è un horror, non un poliziesco, perché ne esci innamorato d’un mostro”.
A proposito d’innamoramento, Camus sosteneva che ogni scrittore è condannato alla comprensione. E’ vero anche per chi racconta di assassini psicopatici? “Ma certo! Dalle persone che ti piacciono non ottieni libri che ti piacciono, perché le persone gradevoli fanno ciò che ci si aspetta da loro, mentre quelle sgradevoli compiono l’inaspettato. Ti devono piacere i tuoi personaggi, perché trascorrerai molto tempo nella loro testa, quantomeno devi capire le loro motivazioni, e se le capisci sei già a mezza strada per apprezzarli”.
E cosa è particolarmente difficile da ottenere, come scrittrice? Sorride sorniona. “Secondo me, molti prendono la cosa molto più seriamente di me. C’è stato un panel a Londra con numerosi autori e se ne venivano tutti fuori con lo stress e lo strazio di trovare la parola giusta; mentre quando hanno chiesto a me ho risposto che non c’è niente di così arduo nell’essere una scrittrice. Siedi in pigiama, spesso senza lavarti il viso per giorni, con Netflix in sottofondo. Credo che fare l’insegnante sia molto più difficile. Ma, certamente, la cosa più impegnativa è semplicemente insistere e non ritrovarti con otto episodi d’una serie alle spalle mentre piangi con il tuo contratto in mano. Devo comunque inventarmi una risposta più pretenziosa di questa, mi sa!”.
L’amore per Stephen King e per “l’oscurità dentro le nostre vite”. “Siamo perlopiù persone cattive che fanno cose buone”
La letteratura è circondata e assediata da molte altre narrazioni, in primis le serie televisive. Ne ricava più benefici o danni? “Difficile a dirsi. Credo di leggere meno d’una volta, e in parte queste lunghe serie tv che appassionano trasversalmente stanno diventando i nuovi romanzi, e in qualche misura influenzano anche come leggiamo effettivamente un libro, con i capitoli che si fanno più brevi e incalzanti, ma è anche vero che la materia prima richiesta oggi a Hollywood sono appunto storie e romanzi, e le serie televisive migliori sono molto romanzesche, certamente più di un film, perché possono avere molti livelli da dispiegare nel tempo, come in Fargo o True Detective”.
In effetti, l’uscita d’una nuova puntata online viene letteralmente assaltata come le navi che nell’800 consegnavano i nuovi capitoli di Dickens. “Ma certo, Thomas Hardy era la Netflix dei vittoriani!”. Venendo invece al binomio sesso e violenza che spesso viene imputato come una delle esche facili della narrativa di genere, le ricordo anzitutto cosa lo scrittore sci-fi R. K. Morgan rispose all’accusa di inserire scene di sesso “gratuite”, ossia che, in vita sua, il sesso gratuito era sempre stata l’opzione migliore. Sarah Pinborough ride. “Non scrivo molte scene erotiche perché, strano a dirsi, ma puoi scrivere di tutto, bambini fatti a pezzi e mangiati, uccidere migliaia di persone e nessun batte ciglio o attribuisce alcunché, ma inserisci una sola scena di sesso e allora molti penseranno che è esattamente come lo fai tu! (ride). Il sesso deve fornirti qualcosa del personaggio, allora è efficace, ed è persino più sexy. E lo stesso vale per la violenza. Molta di quella che racconto avviene fuori scena, nell’ultimo romanzo c’erano alcune situazioni orribili con cui non volevo titillare nessuno”.
Quindi sei davvero preoccupata che qualcuno possa ispirarsi alle storie che racconti? “Certo, è avvenuto anche a Stephen King. Non devi sentirti responsabile ma è un elemento che tengo presente, e sono persuasa che si possa essere sexy senza sesso, così come si può essere spaventosi e duri anche senza violenza esplicitamente descritta”.
Il thriller ti porta in posti molto brutti, ma con la garanzia in qualche modo di uscirne alla fine. L’horror può esporti all’oscurità e lasciarti lì
L’800 si è aperto col Frankenstein di Mary Shelley, che dovette pubblicarlo inizialmente attribuendolo al marito, e il ‘900 con La stanza tutta per sé di Virginia Woolf sull’ipotetica sorella sconosciuta di Shakespeare. Qual è l’evento culturale femminile più importante dell’inizio del nuovo millennio? “Forse una dimensione generale, e comunque confinata ad alcuni paesi, e cioè che come donne riusciamo a esprimere meglio quello che pensiamo e proviamo. Ci sono ancora così tanti stereotipi, per cui nei film l’eroina è una venticinquenne mentre il protagonista e l’eroe giovane è un quarantaseienne, cosa che trovo alquanto inquietante! E questo è un processo che ci riguarda tutti. Ci sono moltissimi uomini che si suicidano, e ciò dimostra che anche nel mondo maschile ci sono oscurità e pesi non affrontati”.
I tuoi libri giocano molto anche su ciò che siamo soliti attribuire a un uomo o a una donna. “Mi diverto molto a deflettere l’attenzione, a pagina uno. C’è un indizio e il lettore gli va dietro, perché siamo creature consequenziali, e tendiamo subito a farci un piccolo quadro mentale di chi potrebbe o non potrebbe fare una certa azione. E nel prossimo romanzo… non voglio rivelare molto, ma è folle. Siamo in Georgia, una storia di vendetta che coinvolge il vudù, ma soprattutto ci sono delle persone molto ricche che si fanno del male a vicenda. Quindi sarà molto divertente!”.
Le domando infine cosa ami della cultura italiana, antica o contemporanea. “La commistione di passione e oscurità dell’opera, mentre se facciamo un balzo a quanto discutevamo prima, ho amato Gomorra. Avevo già apprezzato moltissimo il film, con quel finale così desolato, per cui ero sospettosa della serie, e invece sono riusciti a essere tanto locali quanto universali, con un vero noir. E’ l’italiano Breaking Bad. E le donne della camorra, la scena in cui la moglie di Savastano incede con il cane dietro alla statua della Madonna… in effetti non è Breaking Bad, è il vostro Game of Thrones. Parteggiavo per tutti, anche per i personaggi più sgradevoli. E un altro aspetto ottimale dei film stranieri che devi guardare sottotitolati è che non puoi lavorare mentre lo fai, il che spiega perché io sia sempre in ritardo!”.
Evocare Game of Thrones esige salutarci chiedendole anche per quale casato parteggi. “I Lannister, è ovvio. Ricchi, belli, potenti, e poi hanno il castello più bello”. Nessuno capisce il prezzo del successo e il cuore dei mostri, dico. “Esattamente” sorride.