Costruire sul passato
L’antica lezione “politica” di Castro per il nostro presente
Si è svolto presso il palazzo Patrizi Clementi, sede della Soprintendenza archeologica delle Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Roma Provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale, un incontro sulla città “scomparsa” di Castro. Luogo oggi dimenticato e ricoperto dalla vegetazione, Castro è stata una gloriosa città dell’Alto Lazio, situata tra il fiume Olpeta e il Fosso delle Monache, popolata sin dalla preistoria e fino agli Etruschi, quindi dai Romani, divenuta poi ducato della Famiglia Farnese, che commissionò nel Rinascimento un visionario e ancora non del tutto compreso progetto di ristrutturazione urbanistica, realizzato da Antonio da San Gallo il giovane a sigillare una continuità sempre viva nelle epoche.
Al simposio hanno partecipato, oltre alla padrona di casa la soprintendente Margherita Eichberg, i sindaci di Montalto di Castro e Ischia di Castro, il presidente della Fondazione Vulci e Carlo Casi, autore di una guida del parco archeologico uscita per le edizioni Archeo.
Ma il vero deus ex machina dell’intera operazione, volta alla rinascita di Castro, è stato il professor architetto Giuseppe Simonetta. Già docente all’Università di Roma e poi presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria dell’innovativa cattedra di cantieri per il restauro dei monumenti, Simonetta è stato responsabile del territorio che va da Acquapendente a Tarquinia per la stessa Soprintendenza, esportando la storia culturale di Castro fino in America Latina attraverso un ciclo di conferenze.
Recentemente ha ideato e contribuito a creare la Fondazione Templum Telluris, nome del tempio (scomparso anch’esso sotto terra) che s’ergeva fra la Velia e il Fagutal a Roma, scelto per testimoniare il programma e le finalità della Fondazione: riportare alla luce le civiltà del passato, nelle loro idealità e materialità, riattualizzandole a beneficio del futuro. “Se la terra è il tempio del cosmo, Roma è il tempio della terra” ha affermato nel suo intervento.
Professor Architetto Simonetta, partiamo dalla domanda chiave. Che valore può ancora avere occuparsi di una città ormai rasa al suolo come Castro?
Si possono avanzare due risposte: una di natura archeologica erudita, l’altra ideologica. La prima passa ineludibilmente per il recupero tout court di una struttura urbana cancellata, magari suffragata dall’incrocio dei dati offerti dal terreno con quelli delle fonti; l’altra ne riscopre le istanze universali che hanno costituito le basi della sua strutturazione formale, per recuperare tra rovine apparentemente incongrue l’idea guida che l’ha costituita e, soprattutto, per verificare se questa conserva ancora la scintilla in grado di dare nuova vita di pensiero al rinnovamento della forma della città stessa.
Sta dicendo che rintracciare le orme “intellettuali” di Castro può aiutarci a capire la nostra identità contemporanea?
L’identità culturale di ogni singolo individuo deve confrontarsi, per produrre crescita a se stesso e agli altri, con l’identità culturale della sua collettività di appartenenza o di riferimento adottivo, che assieme alle altre realtà culturali coesistenti e coagenti nel tempo e nello spazio realizza la storia dell’intera Umanità. Ogni storia intellettuale possiede il segreto culturale del proprio sviluppo. Questo segreto è stato seppellito a Castro, e sta lì per essere scoperto, qualora fossimo capaci di fondare e sviluppare una nostra nuova cultura, consonante con i principi che hanno sotteso le culture che si sono fissate nel tempo, nel luogo e nella materia delle opere umane.
E come si fa?
Innanzitutto dialogando con esse. Occorre ricordare che ogni volta che una tendenza, uno stile o una visione sembrano divenire dominatrici, una nuova dottrina deve nascere per spostare il pendolo della storia nell’altra direzione. Bisogna cercare senza posa una via mediana che ne costituisca il nuovo equilibrio. È questa via mediana che di volta in volta realizza la cultura umanistica che, per distinguere ciò che è umano da ciò che non lo è, ha bisogno di una serie infinita di orditi e di trame che costituiscono le tele della storia dell’uomo. I tessuti prodotti dalla cultura di qualsiasi tempo, di qualsiasi luogo, di qualsiasi materia diventano la memoria degna di essere conservata per essere trasmessa.
Che cosa dovrebbe guidare l’uomo contemporaneo nel perseguimento di tali obiettivi?
Non è possibile credere che, nello scorrere della vita, tutto accada per semplice casualità, o essere sottoposti al sottile gioco di causa ed effetto. Credo fermamente che esista invece una sorta di principio che rende “giusta” qualsiasi finalità derivata dalla casualità e/o dalla causalità generate dalla legge cui è sottoposta la natura in generale e l’essere umano in particolare. Se non ci fosse la bona fides in questo principio “giustificante”, l’essere umano non perderebbe semplicemente la speranza banale, ma perderebbe la speranza che intuisce la costruzione della possibilità di un futuro migliore.
Intende che anche la speranza, in qualche modo, è un problema architettonico?
E cosa non lo è! L’identità è crollata per la mancanza di cultura dei luoghi che abitiamo, depositari un tempo di quell’identità incarnata nel paesaggio, nella lingua, nelle festività laiche e religiose, nell’alimentazione materiale e spirituale che oggi si vanno dimenticando. Bisogna portare nuovo valore aggiunto a quanto l’Occidente ha saputo costruire, cambiando di polarità, per aprirsi degnamente al dialogo, nelle tre incognite del tempo e nelle sei direzioni dello spazio, con le genti provenienti dagli altri luoghi e dalle altre culture del passato e della contemporaneità. Non possiamo escluderci, sarebbe una perdita per l’Umanità.
Da più parti si sente dire che la bellezza salverà il mondo. È d’accordo?
No, la bellezza è un magnifico inganno posto dal Bene che ci impedisce di precipitare nel baratro della verità. Per me solo la cultura può salvare il mondo. Non semplicemente quella legata all’erudizione, necessaria ma non sufficiente, ma quella capace di creare i salti culturali che, pur assicurandone la tradizione, la innova di volta in volta attraverso la ricerca di quanto di più antico abbiamo, per scoprire il nuovo da consegnare al futuro. L’unione del fare materiale e del fare spirituale, della sapienza con l’intelligenza, mediate da un quid, è ciò che nobilita ogni attività umana.
Quando parla di spiritualità, parola che sembra appannaggio della sola sfera religiosa, cosa intende?
La spiritualità non è nient’altro che l’apprezzamento consapevole, responsabile e cosciente per le cose che esistono e che si andranno a fare. Mi ripeto: c’è bisogno che la nostra generazione, in nome di questo principio, produca valore affinché le prossime generazioni possano aumentare, a loro volta, la propria ricchezza, per non consumare inconsapevolmente quella esistente che si consuma solo a guardarla. La Soprintendenza non può sentirsi estranea a questo compito; è necessario che, oltre ai suoi doveri istituzionali, diventi imprenditrice e si assuma la responsabilità di produrre reddito materiale, così come l’Università produce ricchezza spirituale. E’ per questo motivo che bisogna sostenere e incrementare la partecipazione degli studenti nei cantieri di restauro, affinché le due facce tornino una.
Castro potrebbe fungere da laboratorio?
Come ho già detto, è nel paesaggio che si realizza tutta la realtà storica dell’essere umano. C’è bisogno di un grande progetto, magari coinvolgendo anche i regnanti Spagnoli, giacché sono ancora duchi di Castro (Carlo di Borbone, capo del Casato del Regno delle Due Sicilie e cugino di Re Felipe VI, nrd), per far rinascere l’idea di costruire un grande distretto culturale capace di amalgamare una città antica come Vulci, un’altomedioevale come Leopoli-Cencelle e una che comprende l’antico, il medioevale e il rinascimentale: Castro. Un progetto come questo porterebbe ricchezza a tutta l’area: gli albergatori, i ristoratori, le guide turistiche e quanti potranno beneficiare di un organismo vivo, quale sempre deve essere una città e la sua civiltà di riferimento, rispetto a una zona morta, come una necropoli coperta dagli arbusti. Mi si passi la battuta: potremo un giorno scoprire che, attraverso il nostro operare, l’antico ducato si è trasformato in principato.
Non crede che sia un obiettivo troppo impegnativo che rischia di fallire?
Sulla nuova Cartagine –così era anche chiamata Castro- è stato sparso il sale, come sull’antica, non per conservarla ma per ucciderla. Lo aveva già fatto Enea, genus unde latinum, abbandonando Didone alla fine temporale di sé e della sua gente, lo ha ripetuto Innocenzo X che vantava stirpe regale Troiana alla fine di quella che, dagli storici, è chiamata “seconda guerra di Castro”, nel 1649. L’intento non è riuscito perché più forte della ritualità è la forza del sogno che si adopera a restituirla alla contemporaneità della nostra cultura. Noi, che siamo ancora qui a parlarne, ne siamo la riprova. In passato ho dichiarato che la cultura è il futuro dell’umanità. È a questo sogno che tutti gli uomini di buona volontà devono continuare a ispirarsi, per avverarlo.