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Fede, allucinazioni collettive, nazioni e violenza (niente paura: è solo un libro)

Maurizio Crippa

La neve di San Pietro, il romanzo distopico di Leo Perutz che si perse nel 1932 (arrivò Hitler)

"Perché la fede scompare nel mondo?”, chiede il dottor Amberg, non sa nemmeno lui se più sorpreso o incuriosito. Il destino l’ha condotto lì, medico condotto in un paesuzzo della Bassa Sassonia, al cospetto di un nobile anacronistico (nemmeno tanto, poi, nella Germania degli anni Trenta). “La fede in Dio non scompare dal mondo. Solo l’ardore della fede in Dio è spento”. Ma il barone von Malchin la formula per riaccendere quell’ardore e gettarlo nella benzina della Storia l’ha trovata, dopo lunghi anni di studi matti e disperatissimi attorno a un parassita dei cereali dai nomi mistici – Fuoco della Vergine, Carie di San Giovanni, Neve di San Pietro – capace di scatenare impulsi religiosi nelle masse e riportarle alla fede. E dal ritorno fideista alla religione alla restaurazione del Sacro romano impero, nella purezza di una resuscitata monarchia di diritto divino e nel rispetto dell’autorità, il passo è breve. O almeno il sogno.

  

E’ difficile leggere, nel 2019, un romanzo come La neve di San Pietro – scritto nel 1932, pubblicato per la prima volta in Italia da Fazi nel 1998 e poi da Adelphi nel 2016 – senza provare il delizioso brivido di un gioco di specchi: ingannatore come tutti gli specchi, ma forse soltanto un po’, le distopie non mentono. Fede, sacri confini, un’Europa da riedificare nel nome dell’ancien régime, violenza e persuasori occulti di massa. Si sente il profumo dei Bannon, degli Orbán, dei telepredicatori evangelici che ora sono al governo del Brasile. Si sente lo zolfo di un contagio popolare che rivuole confini e ritorni all’autorità costituita e al diritto del sangue. Anche se l’LSD della religione ancora non è stata distillata, come il barone von Malchin è riuscito di fare con i suoi alambicchi. Oggi bastano i social media. “Ho verificato che tutti i grandi movimenti religiosi del Medioevo e dell’età moderna – le processioni dei flagellanti, le epidemie i ballo di San Vito, la persecuzione degli eretici scatenata dal vescovo di Marburgo, la riforma clunicense, la Crociata dei bambini, lo steminio degli albigesi”, dice, hanno preso avvio dalla comparsa di quel parassita allucinogeno. La fede non è scomparsa, basta saperla sintetizzare in provetta. Solo il vecchio parroco ha paura: “Lei evoca Moloch, non Dio”. Ma il barone lo apostrofa: “Io mi limito a fare ciò che lei ha fatto per una vita: cerco di ricondurre gli uomini a Dio”.

  

Leo Perutz è un prolifico scrittore praghese di nascita e viennese d’elezione che andava già per i quaranta quando l’Impero si dissolse. Di origine ebraica, frequentatore dei migliori salotti letterari e artistici, quando arrivò il nazismo scappò a Tel Aviv, ma in quel mondo di sionisti progressisti che abitavano case in stile Bauhaus non si trovò bene. La sua letteratura fantastica, misticheggiante e agnosticamente metafisica, era di un’altra epoca e di un’altra terra. Oggi, con le sue storie morbidamente allucinate sarebbe un apprezzato autore di serie televisive dal finale aperto.

  

Anche questo su racconto è delizioso soprattutto finché resta nell’ambiguità del fantastico. Ma facendo uno sgarbo a Todorov e abusando del potere di spoiler si dirà che l’utopia del barone andrà a finire assai male, e che l’uscita del romanzo dal suo status di sogno, o incubo, ha questa volta per Leo Perutz, che di solito si sottraeva all’obbligo dell’incontro ravvicinato con la realtà, un motivo preciso. La neve di San Pietro è l’unico romanzo che Perutz ambienta nella sua contemporaneità, anzi a un passo dalla attualità politica. Si svolge nel nord della Germania, parla di manipolazione delle masse, del loro controllo psichico, di una fede-ideologia totalitaria. Lo scrive e lo colloca nel 1932. Farà appena in tempo a pubblicarlo, ma nel gennaio del 1993 Hitler è già cancelliere, la profezia di Perutz avrà vita breve e clandestina.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"