Forse stufi di link complottisti, i consumatori tornano ai media tradizionali
Il ritorno della fiducia e la crisi delle “fonti alternative”
New York. Secondo l’Edelman’s Trust Barometer, che è una ricerca fatta ogni anno da 19 anni per misurare l’indice di fiducia nelle istituzioni, nel mondo degli affari, nei media e nei luoghi di lavoro, i consumatori stanno tornando ai media tradizionali per informarsi dopo gli anni della sbornia da social media e dopo il picco negativo di fiducia del 2016. Il numero di chi consuma media tradizionali una volta alla settimana o di più e condivide il contenuto nel 2018 è salito dal 24 al 40 per cento rispetto all’anno prima e il numero di chi guarda i media tradizionali meno di una volta alla settimana è sceso dal 49 al 28 per cento. E’ come se la gente avesse più voglia di leggere qualche informazione su un giornale e meno voglia di leggere soltanto gli articoli rilanciati del portavoce dei Cinque stelle al Senato, Elio Lannutti, che sostengono che i banchieri potrebbero appartenere a una razza aliena simile ai nostri rettili. La ricerca è stata pubblicata sul sito della Edelman e include un riassunto di 17 pagine che spiega il metodo usato per raccogliere i dati.
La tendenza era già stata notata un mese fa, a dicembre, da Gallup, un’altra agenzia specializzata in sondaggi, che nel suo rapporto limitato ai soli consumatori americani parlava di una lenta convalescenza dopo il minimo toccato nel 2016. Il 45 per cento degli americani si fida dei media tradizionali, nel 2017 la percentuale era del 42 per cento e nel 2016 era stata del 32 per cento appena. Ora la fiducia nei media tradizionali è tornata a un livello che non si vedeva dal 2009, ma è ancora lontana da quella degli anni Novanta e dei primi anni Duemila. Quando Gallup fece per la prima volta questo sondaggio nel 1972 la percentuale fu del 68 per cento.
Salta subito all’occhio che il 2016 – quando la fiducia nei media tradizionali toccò il suo punto più basso – è stato l’anno della Brexit nel Regno Unito e dell’elezione di Donald Trump in America e in generale del trionfo generalizzato del populismo. Secondo alcuni esperti sentiti da Axios Media, una newsletter americana che si occupa in modo specifico di quello che succede ai media, la fiducia sta tornando perché i giornalisti hanno adottato procedure più trasparenti, spiegano quello che fanno e come lavorano, dedicano più risorse al fact-checking (quindi a controllare che le informazioni che stanno dando siano esatte) e anche perché difendono di più la loro professione.
Sarà che i media lavorano meglio, ma il ritorno degli utenti potrebbe anche essere spiegato dal fatto che i rivali – vale a dire il grande minestrone dell’informazione alternativa che non trova mai dati e storie originali ma si limita a dare interpretazioni fantasiose – sta facendo un lavoro peggiore e si vede. La crisi delle fonti alternative di informazione potrebbe coincidere con la crisi di quella realtà alternativa che andava forte nel 2016 in cui il Messico paga per il muro al confine con gli Stati Uniti, la Brexit è un gioco da ragazzi e i leghisti una volta al governo avrebbero abbandonato l’Unione europea. E’ possibile che un numero consistente di utenti abbia di nuovo voglia di consumare qualche informazione che abbia attinenza con la realtà. Domenica un leader carismatico dei cinque stelle ha detto in prima serata sulla rete tv pubblica che l’immigrazione in Italia è causata dall’esistenza della Comunità finanziaria africana e della sua moneta, il franco Cfa – e ha mostrato in modo teatrale una banconota. Il giorno dopo molti media tradizionali, di carta e online, spiegavano con molta calma e con molti dati perché quella tesi non regge. I media si sono assunti il ruolo di trattamento lenitivo dopo l’hangover e i lettori e spettatori apprezzano, con cautela.