Beato il paese che dispone di Giacomo Papi
Il popolo che non ne può più dei radical chic e il Truce con un’anima nel delizioso romanzo distopico (pardon) dell'autore milanese
Giacomo Papi è nato a Milano, nel 1968, è del giro di Serra, E. Deaglio, Fazio: uno dice, bè, quante disgrazie in una. Invece no: accostatevi, comprate per 13 euro da Narratori Feltrinelli, e leggete le 140 pagine del suo racconto, “Il censimento dei radical chic”, non ve ne pentirete. E’ un libro grazioso, e anche molto di più. E’, pardon, una distopia o cacotopia, il ritratto di una società dove trovereste disgustoso vivere, che è però delizioso, meglio ancora istruttivo, vedere perfettamente ricostruita, e dove par hasard (oops, pardon di nuovo) vi trovate a vivere. La nostra, dico: una società della stupidità e del delitto, della strage financo, il cui supremo reggitore è un Primo ministro dell’Interno bullo e disperato, in tutto simile al Truce, e la cui prima vittima è Giovanni Prospero, assassinato a botte davanti alla porta di casa sua da una squadraccia antibuonista per aver detto in tv la fatale parola “Spinoza” (ci sarà anche una strage tipo Charlie Hebdo al Festival dei due Mondi di Spoleto, per non farsi mancare niente).
Il popolo, lo avrete già capito, è stanco di farsi fare la lezione dagli intellettuali, quelli dei libri, e dal loro corteggio di radical chic, con il tweed, il velluto a coste, il berretto peruviano e la pashmina (pashmina? *sostituire con scialle afghano, osserva in nota al testo un meraviglioso Frun, Funzionario redattore Ugo Nucci dell’Autorità per la semplificazione della lingua italiana). Il popolo, che per delega ha ucciso il Prospero a colpi di tweet (miserabili intellettuali, mi fate schifo @Lindackty dicci chi ti paga @gayfaulkes1 muori tu e quel culattone di Spinozza @falqui1987) e a colpi di bastonate, si affida integralmente a un Truce che gli tira molto la camicia, vuole bene alla mamma e non la sopporta perché è una normale, è compagno di scuola di Olivia, la figlia di Prospero che vive a Londra e scopa con un cuoco giapponese, e sa di essere disperatamente nero, sporco, brutto e cattivo perché la gente lo vuole così, me lo chiede la gente.
L’Autore non si perita di nascondere, senza ovviamente segnalarlo esplicitamente, che il suo è un (perfetto) calco di stile dal grande romanzo distopico, pardon – cancellare la formula, di George Orwell, “1984”, scritto nel 1948. Perfetto, dico: stessa atmosfera spaesata e impersonale, stessa attenzione alla lingua di stato, al controllo del pensiero, al gioco totalitario di società tra personaggi svuotati e inerti, dove all’abolizione della volitività individuale e della libertà collettiva succede, embè, siamo in distopismo italiano, l’abolizione del congiuntivo e il vaglio censorio delle parole difficili e delle metafore quando non siano fresche, dirette, popolari, populiste (tipo: marcire in galera). Ma Papi ha due intuizioni geniali.Primo. Il Truce ha un’anima. E’ un uomo confuso che sa quello che vuole, vuole volere quello che vogliono i suoi adoratori, e niente di più, almeno in apparenza.
A un certo punto, per la gioia della nostra formidabile Chirico, che ha così il suo eroe trucibaldo bello che inserito in una situazione da café society alla romana, il Primo ministro dell’Interno non ce la fa più e s’inguatta in incognito in un cineclub dove si spanza un noiosissimo film di Alain Resnais, ovviamente proibito per una personalità pubblica del suo stile, e colto sul fatto è annientato dalla scandalo e sostituito da uno anche peggio, se possibile. Secondo. Chi guarda e possiede le vite e le parole degli altri in fondo le invidia. Il Frun, funzionario redattore Ugo Nucci addetto alla cancellazione delle parole difficili e delle espressioni ambigue del testo narrante vita e morte di Prospero, sotto la supervisione di un supervisore che entra spesso in polemica con le sue scelte, perché ne vede il pericoloso lato di esercizio della critica letteraria (come per la critica cinematografica di Joe McCarthy, da molti giudicata pertinente nonostante le delazioni orrende a danno del gruppo di Hollywood); questo Frun onnipresente, dicevamo, ma senza mai essere davvero molesto (a parte lo scialle afghano), è capace di ironia e anche di autoironia, quella che invece, nella bella lingua di Papi, indipendente dai circoli di riferimento dei talk-show e dalle pur lodevoli inchieste vecchio stile e dalle amache, manca totalmente ai radical chic sottoposti a persecuzione via censimento e riforma del linguaggio acconsentito, fra terrazze e tartine, come si può immaginare senza sforzo. Alla fine gli intellettuali però diventano eroi in una strepitosa invenzione che sa del gaddiano Maradagàl o Parapagàl, paesi dell’insensato lombardo-manzoniano-brianzolo, d’altra parte la scena di questa Cognizione del dolore è Milano. Se volete chiosare la satira in questione di un “beato il paese che non ha bisogno di eroi, o di intellettuali”, fate pure, l’importante è che leggete (no congiuntivo) e che riconoscete (no cong.) beato il paese che dispone di Papi.
Universalismo individualistico