La seduzione, l'amore e la Shoah. Quel confine doloroso tra memoria e finzione
“Il tatuatore di Auschwitz” e “Cilka’s journey” di Heather Morris
La memoria si colora e ogni ricordo appartiene a chi lo fa suo. Questo principio, questa relatività, però, non dovrebbe valere per i fatti storici. Quando la storia, o un frammento di storia, è pronta a diventare letteratura e a tingersi di finzione è una decisione difficile da prendere, e narrare una storia d’amore all’interno di un campo di sterminio nazista è un’operazione delicata che la scrittrice neozelandese Heather Morris ha deciso di compiere con il libro “Il tatuatore di Auschwitz”, edito in Italia da Garzanti lo scorso anno. Il romanzo ha per protagonista un ebreo slovacco, Lale, il cui compito era tatuare la matricola numerica di riconoscimento sulle braccia degli ebrei che arrivavano nel lager. Nel libro Lale si innamora di una delle ragazze sulla quale dovrà imprimere con l’inchiostro i numeri. È stato lo stesso Lale a raccontare all’autrice la sua storia, l’uomo è morto nel 2006 e la Morris ha deciso di trasformare in un romanzo quei ricordi. Quel complesso rapporto tra memoria, realtà e finzione che è la letteratura a volte restituisce una storia edulcorata o distorta e questa è l’accusa che l’Auschwitz memorial Research Center ha mosso al libro della Morris. In un rapporto molto dettagliato uscito lo scorso dicembre, il centro ha chiarito che tanti degli eventi riportati nel libro sono poco coerenti e le informazioni incomplete, che il romanzo cede troppo all’interpretazione di fatti che a interpretazione non dovrebbero essere soggetti, in quanto storici, e rimprovera all’autrice di aver fornito una sua lettura di eventi accaduti senza aver fatto una ricerca accurata. Nel rapporto erano stati denunciati diversi errori, inesattezze, esagerazioni e il centro concludeva che la storia non potesse essere romanzata a quel modo. In sua difesa Heather Morris ha risposto che la sua intenzione era di scrivere “una storia sull’Olocausto, non sulla storia dell’Olocausto”.
La scrittrice ha annunciato la scorsa settimana l’uscita del sequel, un secondo romanzo sulla vita dei prigionieri di Auschwitz, dal titolo “Cilka’s journey”. Cilka è un personaggio già presente ne “Il tatuatore di Auschwitz”, è una ragazza di sedici anni che diventa schiava sessuale di uno dei comandanti delle SS e già l’Auschwitz memorial aveva sollevato delle perplessità sul modo di trattare questo personaggio. Cilka era stata definita “il principale punto di preoccupazione”. “La possibilità di una relazione semi esplicita tra un’ebrea prigioniera e un alto esponente delle SS era inesistente – dice il rapporto – La divulgazione di una notizia del genere avrebbe causato un’accusa di disonore e l’uomo sarebbe stato punito severamente”. Cilka è esistita davvero, era una ragazza slovacca e l’autrice ha detto di aver fatto delle ricerche appropriate per scoprire il più possibile sulla sua vita. Di essere andata in Slovacchia per sentire i racconti di chi aveva conosciuto la donna. Nel libro racconta che Cilka, dopo la liberazione di Auschwitz, con l’accusa di aver collaborato con i nazisti, viene mandata in Siberia dove vivrà come prigioniera a lungo e incontrerà suo marito. Secondo l’Auschwitz memorial Research center, la storia di Cilka, come quella di Lale, come vengono raccontate sono discutibili. I due romanzi si collocano in quel limbo tra documentazione e finzione, non dice né di essere dichiaratamente l’una né l’altra, e questa appartenenza sfumata alle due categorie è il vero peccato delle opere di Heather Morris. “Il tatuatore di Auschwitz” e “Cilka’s journey” sono delle storie, storie sull’Olocausto e non le storie dell’Olocausto, un’interpretazione nata da dei racconti. In calce al primo dei due libri l’autrice specifica: “È stato fatto ogni ragionevole tentativo di verificare i fatti rispetto alla documentazione disponibile”. Non è vero, risponde il fact-checking dell’Auschwitz memorial Research center. La memoria diventa letteratura con delicatezza. Lentamente.