Come si può essere un grande artista italiano oggi?
Difficile scovare un grande pittore in un paese povero, in mezzo a quadri denutriti. Ecco perché non stupisce l’emarginazione internazionale dell’arte contemporanea nazionale
Non si può essere un grande poeta bulgaro, scriveva Montale. Dunque come si può essere, oggi, un grande artista italiano? Non vedo perché stupirsi di fronte all’emarginazione internazionale dell’arte contemporanea nazionale. Senza contesto non può esistere testo, senza denari non si canta messa, eccetera. Un popolo come quello italiano, povero, vecchio, ignorante, intellettualmente morto, è perfetto per generare lunghe file ovine alla prossima, milionesima mostra di Van Gogh (Padova 2020, “con ben cento capolavori del grande maestro”). Non certo per sostenere la produzione artistica. Mi dicono che Bologna per Arte Fiera fosse come al solito piena come un uovo, oltre 50 mila visitatori ovvero quasi 50 mila turisti dell’arte, gente che guarda anzi fotografa, e a comprare un pezzo non ci pensa proprio, più che altro pensa a postare e a prenotare la cena.
L’arte non è un contesto ma un pretesto, una photo opportunity, una scusa per tornare all'Osteria Bottega o provare il nuovo Pappagallo. Ieri per vie traverse ho saputo che un pittore cinquantenne, non certo un Picasso ma nemmeno uno da Piazza Navona, un pittore che ha una sua poetica e una sua piacevolezza, ha accettato di realizzare un ritratto 50 x 50 centimetri per 500 euri. Mi è dispiaciuto come se fosse morto. Perché di morte, sebbene artistica, si tratta. Possiedo un suo quadro e il primo pensiero è stato di gettarlo: se tu ti butti via, perché io dovrei conservarti? Non è meglio concedere quel pezzo di parete a un artista il cui nome ai miei eredi possa dire ancora qualcosa? Se tu vendi a 500 euri non potrai mai più pagarti una mostra decente, un catalogo decente, un critico decente, tubetti di colori decenti… Stai affogando nel dopolavorismo e di te e dei tuoi ritratti e dei tuoi ritrattati si perderà ogni memoria. E’ un caso limite, forse, ma il quadro medio italiano non è che costi tantissimo di più: cinquemila euri? Spero di non avere ecceduto per ottimismo… Il collezionista medio italiano compra entro i tre zeri, molto di rado è un ricco vero, di norma è un tartassato benestante di provincia che ai ventimila proprio non ci arriva. E dunque dozzine di buoni e a volte buonissimi pittori italiani vendono una volta al mese, se va bene, un quadro nell'ordine delle migliaia di euri: tolto le tasse, il gallerista, eventuali altri mediatori, la tela, i colori, il trasporto, l'affitto dello studio, impossibile che restino soldi da dedicare a quei soggiorni all'estero indispensabili per conoscere e farsi conoscere oltre Chiasso. Se non si muove l’artista si potrebbe muovere il gallerista: ma costui non è messo meglio, anche lui guadagna poco o niente e non può permettersi la partecipazione alle fiere internazionali.
L’arte contemporanea italiana è talmente denutrita da non riuscire a emettere suono. Così come nelle popolazioni sottoalimentate si abbassa l’altezza media (notevole il caso delle due Coree, identica genetica e diversa statura, ovviamente più bassa laddove si è realizzato il comunismo), fra gli artisti ipoproteici si riducono le dimensioni delle opere. Conosco pittrici scheletriche dedite al formato 20 x 20 pur di riempire il frigorifero. Ecco perché mi rifiuto di considerare l’invisibilità internazionale degli artisti italiani viventi il risultato di una scarsa qualità: in mancanza di quantità, di centimetri, di numeri, l’eventuale qualità rimarrebbe impercettibile. “Oggi, per dire qualcosa di importante con la pittura, bisogna dipingere quadri di grandi dimensioni” ha dichiarato David Hockney, forse il massimo pittore vivente. Non si può essere grandi dipingendo 20 x 20. Nemmeno medi.