Il filosofo Alain Finkielkraut (foto LaPresse)

La piccola buona notizia nell'aggressione dei gilet gialli a Finkielkraut

Giovanni Maddalena

C’è qualcuno che esprime una filosofia aderente alla vita, per cui si possa anche essere contestati o attaccati

C’è qualcosa da imparare dall’aggressione di qualche isterico gilet jaunes al filosofo Alain Finkielkraut. In mezzo a tutte le tristi osservazioni che hanno già detto tutti giustamente sull’antisemitismo, sulla violenza e l’ignoranza, sulla solita fascinazione per sopprimere libertà di parola e di pensiero, nonché sulla confusione ideologica dei gilet colorati nell’accusare il pensatore allo stesso tempo di essere ebreo e di essere un “fascista antisemita”, vedo anche un piccolo spazio per un’altra riflessione. Un filosofo, non un calciatore o un politico, viene riconosciuto per strada e insultato, un po’ per le sue origini e un po’ per le sue idee. Saranno mal comprese, come si vede, ma sono pur sempre idee e non l’ultimo post sul cibo consumato.

 

Dove sta la buona notizia? La piccola buona notizia è che c’è qualcuno che esprime una filosofia aderente alla vita, per cui si possa anche essere contestati o attaccati. Non è il mio tipo favorito di filosofia – quella di Finkielkraut è una specie di filosofia politica mischiata alla storia delle idee – ma è pur sempre filosofia. Purtroppo, come ben dimostra un divertente libro di Carlin Romano sull’America, una fascia maggioritaria della filosofia da molto tempo, ossia da quando si è identificata con un programma di riduzione a un tipo limitatissimo di logica, e nella maggior parte del mondo, è diventata irrilevante per i problemi della vita. Quando tre anni fa è morto Hilary Putnam, uno dei maggiori rappresentanti di questo genere di filosofia, della cosiddetta filosofia analitica, il New York Times gli ha dedicato un minuscolo trafiletto, mentre la notizia è stata del tutto ignorata dal resto dei media. Se Putnam avesse girato per le strade di Parigi sabato scorso, nessuno lo avrebbe notato.

 

Ovvio, è stata la televisione. Finkielkraut si occupa di politica e parla sempre in televisione, un po’ come Cacciari. È vero, ma non c’è nulla di sbagliato. Se altri filosofi e altri intellettuali, magari dotati di altri strumenti concettuali e di tipi di ricerca diversi da quelli strettamente politici, provassero a far capire quanto siano rilevanti i loro studi per la vita sociale e politica, la società avrebbe solo da guadagnarci. Non è necessario per questo iscriversi a partiti o parlare di essi. William James, all’inizio del ‘900, aveva fatto un tour americano, seguitissimo, per spiegare come la sua teoria epistemologica c’entrasse con la vita di tutti. John Dewey, qualche anno dopo, aveva cercato di costruire una scuola e si sforzava di scrivere anche sui giornali. Per citare la Francia, dove il ruolo pubblico degli intellettuali è stato sempre più riconosciuto come dimostra il caso storico ed eclatante di Foucault, il filosofo Mathias Girel unisce studi di teoria della conoscenza con il problema sociale delle fake news, che spesso cerca di spiegare in dibattiti radiofonici e televisivi.

 

Non ci si augura con questo né intellettuali-star né la violenza sugli intellettuali, ma si potrebbe auspicare che gli intellettuali siano più presenti nella vita sociale, nonostante questo impegno costi in termini di tempo, studi e fama. Non significa affatto sperare che gli intellettuali siano di nuovo funzionali ai partiti, come avvenuto in epoche e situazioni storiche orrende, ma vuol dire augurarsi che essi capiscano che il tesoro immenso e spesso specialistico che è nelle loro menti deve diventare il più possibile fruibile da tutti, non in un’alterazione ideologica, ma in una condivisione solidale. Altrimenti, come nota sempre Romano nel suo libro, la gente non starà senza filosofia ma userà come propri filosofi di riferimento Oprah Winfrey e Hugh Hefner, il fondatore di Playboy. Meglio che niente, ma perché non cercare invece di mettere a frutto per tutti gli studi specialistici di vite intere? Se facesse riflettere qualche intellettuale sulla responsabilità sociale dei propri studi specialistici, lo sgomento di fronte allo squallore dell’aggressione a Finkielkraut dell’altro giorno non sarebbe stato vano.

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