Salvate la riforma dei Beni culturali
Tutela e valorizzazione, arte e turismo, soprintendenze uniche. Il grande archeologo Andrea Carandini difende la “rivoluzione” di Franceschini, attaccata dalle corporazioni e dai “conservatori radicali”
Tornare alle soprintendenze archeologiche separate? Una cosa dissennata! L’opposizione alla Riforma Franceschini? Un atteggiamento reazionario!”. Studioso che ha fatto la storia dell’archeologia proveniente da una famiglia che ha fatto la storia d’Italia, Andrea Carandini parla con gentilezza raffinata, ma il tono è tanto più tagliente quanto più sta attaccato ai fatti. “Un archeologo che pare uscito da un romanzo di Agatha Christie” lo ha definito Boris Johnson nel sul libro “Il sogno di Roma”: affascinato da una visita al sito archeologico in cui Carandini gli mostrava come aveva scoperto il possibile palazzo di Romolo. In realtà più che con il giallo made in Britain Carandini ha rapporti di parentela con l’horror. Suo padre Nicolò era infatti cugino di Christopher Lee, il Dracula dei film della Hammer e Saruman del “Signore degli Anelli”: oltre che ministro e costituente liberale; ambasciatore a Londra; fondatore del Partito radicale; marito di una figlia del grande direttore del Corriere della Sera Luigi Albertini che era anche nipote del drammaturgo Giuseppe Giacosa e cognata della nipote di Lev Tolstoj. “Una personalità profondamente venerata nel mondo dell’archeologia romana”, lo ha definito sempre Boris Johnson: docente alla Sapienza, a Siena e a Pisa; presidente della Commissione paritetica per la realizzazione del Sistema informativo archeologico delle città italiane e dei loro territori; membro della commissione mista stato-comune per la sistemazione dell’Area monumentale centrale di Roma; presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali con Bondi; dal 2013 presidente del Fondo per l’ambiente italiano; dal 24 gennaio 2018 componente del Comitato scientifico del Parco archeologico del Colosseo. A parte lo scavo sul Palatino è famoso anche per gli scavi nella villa romana di Settefinestre a Capalbio, per aver diffuso in Italia la tecnica archeologica di scavo stratigrafico e per aver ricostruito il sistema di produzione delle ville romane. Ma negli ultimi anni è stato soprattutto uno dei grandi difensori della riforma Franceschini. Lui, in particolare, è stato assieme all’altro archeologo Giuliano Volpe – presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali ora in (lunga) attesa di essere rinnovato – uno dei nomi più illustri del fronte che si è contrapposto all’appello anti riforma promosso tra gli altri dall’ex soprintendente a Roma Adriano La Regina e da Vittorio Sgarbi, e le cui richiesta stanno venendo portate avanti con aggressività negli articoli sul Fatto di Tomaso Montanari.
“Questa riforma va difesa per due ragioni principali”, spiega. “La prima è che finalmente crea uffici appositi per i maggiori luoghi espositivi. Quindi finalmente accanto alla tutela compare anche la valorizzazione: un elemento contemplato in quell’articolo 9 della Costituzione, dove si dice che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura scientifica e tecnica. Quindi il ministero si deve occupare sia della tutela che della valorizzazione. Quindi ci sono sia i grandi musei e i grandi siti espositivi come Pompei, che si occupano soprattutto di valorizzazione perché lì si concentra il pubblico: sia gli altri uffici come le soprintendenze, che si occupano della tutela. Non è una riforma contro la tutela, è una riforma che alla tutela accompagna la valorizzazione: una cosa che non si era mai prodotta e che corrisponde ai due commi dell’articolo 9 della Costituzione”.
“Musei e luoghi espositivi dopo questa riforma hanno straordinariamente incrementato i visitatori, è stato un vero successo. E Brera ad esempio è tornata a essere il cuore palpitante di Milano”
Leggiamolo, questo articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. “Appunto”, ci fa osservare Carandini. “Il primo comma si occupa di valorizzazione, il secondo comma della tutela”.
Ma ha detto che c’è anche un secondo aspetto positivo. “Sì. Si supera quella situazione totalmente dissennata per cui gli archeologi, gli storici dell’arte e gli architetti lavoravano in uffici separati, invece di collaborare insieme in un’unica struttura. Può esistere un’orchestra solo di violini? Con i violini ci vuole il corno inglese, ci vuole l’oboe, ci vogliono i timpani. Purtroppo le corporazioni pensano sovente più al proprio interesse che non a quello dei cittadini. Quindi vogliono tre strutture diverse per un muro antico che come accade spessissimo in Italia ha ad esempio sopra di sé un muro del Cinquecento e su tutti e due un affresco, e che quindi è in realtà una unica struttura. Io ho sempre appoggiato questo schema della soprintendenza unica anche quando elaborai la legge della Sicilia, e vi resto favorevole. Secondo me questa riforma Franceschini può essere migliorata, può essere perfezionata, ma non si deve ripartire da zero”.
Sembra che il ministro Bonisoli abbia invece questa idea… “Non credo che accadrà. Sarebbe troppo dissennato. Una visione estremamente arretrata e conservatrice, corporativa, che assolutamente non approvo, e che secondo me neanche il ministro vorrà far propria. Penso che abbia troppo buon senso. Al massimo potrà fare qualche utile correzione, ma la riforma nella sua sostanza permarrà, anche perché i musei e i luoghi espositivi dopo questa riforma hanno straordinariamente incrementato i visitatori, è stato un vero successo. E Brera ad esempio è tornata ad essere il cuore palpitante della città di Milano. Poi ci sarà magari qualche direttore che ha fatto meno bene: le riforme sono sempre perfettibili”.
Dove la riforma è migliorabile? “Il nostro patrimonio è molto ampio e il ministero non può arrivare a tutto, anche perché è un po’ patrimonio di contesto. Lo stato si deve occupare dei grandi monumenti e dei grandi complessi, ma resterebbero tante altre cose da curare e da custodire. Per gestire queste realtà là dove lo stato non ce la fa, il ministero dovrebbe ricorrere ai privati, sia profit che non profit (su questa via, Bonisoli ha in effetti avviato una commissione giuridica per affrontare il problema, ndr). Nello spirito di quell’articolo 118 della Costituzione che prevede la sussidiarietà”.
C’è qualcosa di ideologico in questa opposizione? “Certamente. Sono coloro che io chiamo i conservatori radicali. Apparentemente, sembrano dei radicali di estrema sinistra. Ma in realtà il loro è un atteggiamento tipico dei conservatori, se non dei reazionari. Quello che loro hanno visto quando avevano 20-30 anni è il bene assoluto che non si può toccare! Ma le cose si sviluppano, la società di oggi non è affatto quella del 1930. L’Italia allora era fatta di molti analfabeti, e c’era un turismo molto limitato di privilegiati istruiti. Non c’era bisogno della valorizzazione. Oggi masse enormi di turisti vengono a visitare la nostra Penisola e hanno bisogno di essere istruite. Le cose devono essere spiegate in varie lingue perché vengono dall’Asia, vengono dall’America, vengono da tutto il pianeta. E’ un altro mondo. Voler mantenere le realtà degli inizi del Novecento o della metà degli anni Trenta è una sciocchezza motivata da pregiudizi ideologici”.
“Le soprintendenze separate sono una logica di potere di tipo esclusivo e legato a specializzazioni che esistono, nella cultura e nell’accademia: ma nel territorio non ci sono queste separazioni così nette”
Sarebbe eccessivo pensare che qualcuno ce l’ha con questa riforma semplicemente perché Franceschini era ministro di Renzi? “Può darsi. Ma basarsi sugli schieramenti in temi culturali non è molto saggio. Nella cultura è giusto ciò che è vero, è giusto ciò che corrisponde alla storia, è giusto ciò che corrisponde all’interesse dei cittadini. Nessun partito ha il monopolio della giustizia, e partire da uno scontro politico aprioristico è sbagliato. Qualsiasi governo ci sia, di destra o di centro o di sinistra, se quello che fa mi piace lo voto; se quello che fa non mi piace. non lo voto. Purtroppo un certo radicalismo di sinistra ha posizioni assolutamente aprioristiche, fanatiche, e ormai pure vecchie e sorpassate”. Un radicalismo di sinistra che però sembra fare sponda con un governo che ha diversi aspetti destrorsi… “Infatti è una corrente da cui ho cercato negli anni di distinguermi”.
Al di là comunque dei preconcetti ideologici, la principale accusa tecnica che viene fatta a questa riforma è che le soprintendenze miste sparpagliano troppo il personale degli uffici archeologici. “E perché?”. Dicono così. Secondo l’appello di La Regina la riforma avrebbe reso il lavoro di tutela quasi impraticabile, avrebbe provocato una drastica riduzione degli scavi preventivi eccetera. “Ma tutta la tutela è uno strumento molto delicato, che incide sulla proprietà privata. Deve essere frutto di una discussione. Certo, capisco il punto di vista del potere. Quando l’archeologo poteva mettere il vincolo come gli pareva. Quando lo storico dell’arte poteva mettere il vincolo come gli pareva. Quando lo storico dell’architettura poteva mettere il vincolo come gli pareva, da solo, senza confrontarsi. Ma il problema è che i nostri beni nei contesti sono intimamente mescolati tra loro. Quindi questa visione è assurda, innanzitutto perché le decisioni che incidono sulla proprietà privata devono essere giustamente frutto di una discussione. Ma anche per valutare altre questioni ci vogliono più occhi. Quante strutture abbiamo in Italia che sono in parte archeologiche, in parte architetture dell’età medioevale e moderna e in parte hanno affreschi o medioevali o moderni? Possono essere valutate separatamente? La cultura moderna è una cultura contestualistica. Quindi bisogna che le specializzazioni ci siano, che siano rispettate, ma che poi le decisioni siano di tipo collettivo. Il Fai, ad esempio, da quando ci sono le soprintendenze uniche, invece di avere a che fare con tre uffici diversi che dicono cose contrastanti tra loro, ha a che fare con un’unica soprintendenza. Per esempio a San Fruttuoso: sono venuti i vari specialisti, c’è stata una discussione tra noi e loro, e si è arrivati a una soluzione armonizzata che tiene conto dei vari punti di vista, e non da un punto di vista solo. Le soprintendenze separate sono semplicemente una logica di potere di tipo esclusivo e legato a specializzazioni che esistono, nella cultura e nell’accademia: ma nel territorio non ci sono queste separazioni così nette. Per questo sono favorevole alla soprintendenza mista”.
La riforma, come ricordava, ha prodotto un boom di pubblico e di incassi. Ma non è che c’è pure una punta di disprezzo per il mercato? Come dire: se l’arte fa soldi è male? “Certo, perché per questi personaggi qualsiasi novità è negativa. Rimpiangono i tempi in cui solo i borghesi facoltosi potevano frequentare certi luoghi. Invece adesso la cultura è aperta a tutti, e bisogna che le persone quando hanno visitato il Colosseo escano con una nuova esperienza. Questa ancora è di là da venire, ma si sta incominciando a fare. Ma loro vorrebbero tornare indietro. Giusta la tutela, ma a queste masse di turisti che arrivano in Italia noi dobbiamo pure raccontare qualcosa. Devono riuscire con qualche cosa in più nella testa che non un selfie. Ad esempio, io sono nel Comitato scientifico del Parco del Colosseo, e vedo che si fanno dei grandi progressi perché ci sono delle persone che oltre alla tutela hanno anche il punto di vista delle necessità dei visitatori. Una volta il funzionario pensava, conservava l’oggetto ma delle persone entro una certa misura se ne infischiava. Ciò non può più essere”.