Il “viaggio con la Casta” di Craxi in Cina, e l'Italia che non cambia mai, o forse troppo
L'allora premier fu criticato per avere viaggiato a Pechino con una delegazione di sessanta persone. “Siamo qui con i suoi cari”, disse Andreotti
Roma. Mentre la capitale è paralizzata dalla visita del presidente cinese e dalle 500 persone del suo seguito, vale la pena ricordare il viaggio simmetrico del novembre 1986, quando Bettino Craxi partì alla volta di Pechino in un tour poi passato alla storia che anticipava già la Casta e tutto (scatenando anche Beppe Grillo con la fatidica battuta sui socialisti in Cina). In diretta Rai, durante “Fantastico 7”, Grillo ironizzò sul viaggio (“ma se sono tutti socialisti a chi rubano?”). “In realtà tutto partì da Andreotti”, racconta al Foglio Stefano Rolando, oggi docente allo Iulm, all’epoca direttore generale e capo dipartimento Informazione ed editoria alla presidenza del Consiglio. “Eravamo appena arrivati a Pechino, e mentre si aprì lo sportello, il cronista dell’Ansa Pio Mastrobuoni, che in seguito diventò suo portavoce, domandò un commento all’allora ministro degli Esteri, e lui disse: ‘Eh, siamo qui con Craxi e i suoi cari’, una battuta tipica andreottiana, che però venne poi molto enfatizzata, più di quanto avrebbe pensato lo stesso Andreotti.
“In realtà”, continua Rolando, “a bordo dell’aereo Alitalia non eravamo che una sessantina, la metà di quanti volavano negli stessi anni col presidente francese. E ognuno aveva una missione da svolgere; c’erano, oltre ai direttori generali dei vari ministeri, anche il presidente della Bnl, Nerio Nesi, che doveva chiudere un importante accordo per aprire filiali; il sovrintendente della Scala, Carlo Maria Badini, che portò poi alla prima trionfale tournée scaligera in Cina, il sindaco di Venezia, Nereo Laroni, che doveva stringere alleanze sul turismo; c’era l’Alitalia che stava studiando l’apertura delle rotte su Pechino e Shanghai, e c’era Carlo Ripa di Meana, che era allora commissario europeo. Certo, era anche un amico di Craxi, ma ciò non toglie che la dimensione europea fosse importantissima in quella visita”.
Ma per tutti quello fu il viaggio con la Casta. Gli articoli dell’epoca grondano moralismo aeronautico. “Sembra di assistere, più che ad una missione diplomatica, a una trasferta del Circo Orfei”, scrisse Enzo Biagi. “Dalla pancia del jumbo Alitalia esce un gruppone da corte dei mandarini. Chi è che compone questa varia ed esotica comitiva?”. Il capo segreteria di Craxi, Gennaro Acquaviva, scrisse a Repubblica un preciso rendiconto di chi c’era nella esotica comitiva. Tutto regolare. “C’erano le consorti, che erano previste dal protocollo, e una in particolare, Marina Ripa di Meana, era dotata di qualche eccentricità, d’accordo, ma questo non significa nulla”, dice Rolando. “Al piano di sopra dell’aereo, Marina era seduta accanto a Andreotti, e compiva complicati esercizi di ginnastica proprio in faccia a lui, che rimaneva impassibile per tutto il viaggio”.
A Pechino poi scoppiò il caso della sparizione dei gioielli. “Marina li aveva nascosti in un cestino dell’immondizia in camera, così il personale li gettò via, e nel mezzo della notte lei dette l’allarme, arrivò la polizia, setacciarono le discariche di tutta Pechino per recuperarli”. Al di là degli aspetti pittoreschi però fu una visita abbastanza fondamentale, pare. “Il discorso di Craxi davanti a Deng Xiaoping fu importante perché simboleggiò la comprensione del cambiamento cinese e i suoi rapporti con l’Europa e l’Italia. E quel viaggio consolidò anche la statura internazionale di Craxi dopo il vertice di Tokyo di qualche mese prima, quando insieme a Reagan sventò il tentativo di relegare l’Italia in una specie di serie B del G7”.
Eppure il viaggio cinese è rimasto storico soprattutto come gita trimalcionesca. “Una schiera di persone che ricordava la corte di Caterina Cornaro al ritorno da Cipro e verso Asolo”, scrissero Rizzo e Stella nel libro che dette la stura a quella letteratura. Spiacque soprattutto la presenza di alcune fidanzate. Quella di Bobo e quella di Martelli. “La fidanzata di Bobo era la sorella del fotografo Cicconi, ed era lì per aiutarlo. E quella di Martelli, Ludovica Barassi, realizzò poi un documentario” (Biagi la paragonò a Leni Riefenstahl per Hitler). “Certo i socialisti viaggiavano in maniera un po’ meno rigida e ministeriale rispetto al passato”, dice Rolando. “E questo contribuì a creare la leggenda. Ma il viaggio era stato preparato per mesi dalle diverse strutture, non era certo una gita scolastica. C’erano le migliori personalità dei vari ministeri, diplomatici come Boris Biancheri, economisti come Antonio da Empoli. Ma niente. Una certa sportività del craxismo, i jeans per il giuramento al Quirinale, fecero il resto”.
Fiorì pure la leggenda che Craxi sulla via del ritorno fece una deviazione per andare a trovare il fratello che viveva in India, addirittura seguace di Sai Baba. “In realtà il governo indiano da tempo chiedeva un incontro con quello italiano, ne approfittarono per fare un piccolo meeting. Ma la delegazione ufficiale, con Andreotti, da Shanghai era già tornata direttamente in Italia: mentre Craxi con un altro aereo più piccolo fece il suo incontro con Rajiv Gandhi; e poi, privatamente, andò finalmente a incontrare il fratello”.