Le parole non possono contraddire i fatti. L'“intenzionalità reciproca” ci salverà
L’analisi filosofica spiega (anche) il populismo. Il libro di Searle
Milano. Qualche giorno fa, sulla tv francese, Marine Le Pen ha rinfacciato a Matteo Renzi di aver governato senza essere stato eletto dal popolo e solo a pochi spettatori, purtroppo, sarà venuto in mente un decano della filosofia statunitense, John R. Searle. Eppure per capire cosa stava accadendo sarebbe stato utile avere sotto mano il suo ultimissimo libro – “Il mistero della realtà” (Raffaello Cortina) – il cui titolo originale reca un ambizioso “The Basic Reality and the Human Reality”. Searle mira a comprendere quale sia lo status della realtà forgiata dagli uomini a fronte della realtà dimostrata dalle scienze dure. Vuole cioè stabilire il grado di verità di istituzioni, onorificenze e leggi rispetto ad atomi e cromosomi: per quanto le prime ci sembrino campate in aria e talvolta arbitrarie, ciò nondimeno regoliamo la nostra vita su di esse molto più che sui secondi. Anche la nostra identità sembra dipenderne in maniera spropositata. Pur consapevoli di essere determinati dalla materia, al momento di definirci diamo maggiore rilevanza all’essere sposati o laureati in ingegneria o vicepresidenti del circolo di bridge; la nostra identità viene definita meno dal nostro DNA che dalla circostanza che qualcuno, in un determinato contesto, abbia detto che da quel momento siamo sposati o laureati o vicepresidenti.
L’idea che il linguaggio crei una realtà ovvero la modifichi non è nuova. Importa piuttosto che Searle imperni il saggio – riassunto sistematico di tutto il suo pensiero – sul tentativo di far coesistere le realtà scientifica e linguistica, ossia la realtà di base e quella umana. Per capire che è meno complicato di quel che sembri, prendete una banconota da dieci euro. Dal punto di vista ontologico, è un pezzo di carta di per sé privo di valore; dal punto di vista epistemologico, sapete che vale più di una da cinque e meno di una da venti. Lo statuto ontologico della banconota è quindi stabilito soggettivamente, nel senso che ci siamo messi d’accordo che ha un determinato valore; se avessimo tentato di utilizzarla prima del 2002, cioè prima di entrare nell’euro, non saremmo riusciti a comprarci niente. Lo statuto ontologico soggettivo non vieta tuttavia che lo statuto epistemologico sia oggettivo: il fatto che noi abbiamo concordato di utilizzare quel pezzo di carta assegnandogli un valore è comunque un fatto incontestabile, per quanto stabilito convenzionalmente.
La differenza fra realtà umana e realtà di base può essere ridotta a questo. Nella realtà umana l’oggettività dello statuto epistemologico non dipende dalla soggettività dello statuto ontologico, mentre nella realtà scientifica la soggettività dello statuto epistemologico non influisce sull’oggettività dello statuto ontologico. Secondo un celebre esempio addotto da Maurizio Ferraris, se un faraone muore di tubercolosi quattromila anni prima che ne venga scoperto il bacillo, non si può dire che non sia morto di tubercolosi solo perché ignorava l’esistenza della malattia. Nella realtà umana, invece, se adesso qualcuno si arroga il titolo di faraone, incontra minor fortuna di chi se lo arrogava quattromila anni fa poiché oggi abbiamo concordato che non debba più esserci una carica che risponda a tal nome.
Come tutti i filosofi di vaglia, Searle si guarda bene dall’utilizzare la propria teoria come grimaldello per l’interpretazione dell’attualità o peggio per l’impegno politico militante; sta parlando di argomenti troppo universali per poter essere ridotti a polemiche di bassa lega. Fatto sta che leggendolo si intuisce che uno dei principali problemi d’oggi sta proprio nella cattiva interpretazione del rapporto fra realtà umana e realtà di base, nonché fra epistemologia e ontologia. Un antivaccinista, un fautore delle scie chimiche, un qualsiasi complottista gioca su questo iato lasciando intendere che esistano due realtà differenti, quella della scienza e quella descritta dalle parole, quando invece si tratta ovviamente della medesima realtà sottoposta a due ontologie differenti ma coerenti fra loro. Più efficace ancora è l’ambiguità riguardo allo statuto epistemologico. Secondo un terrapiattista, l’oggettività ontologica dipende dalla soggettività epistemologica: ragion per cui basta non credere a una teoria scientifica (o ignorarla) per poter negare l’esistente. Per così dire, costui tratta la realtà di base alla stregua di realtà umana.
Il guaio è che anche la realtà umana è epistemologicamente oggettiva, per quanto basata su definizioni convenzionali che alterano la realtà. Se un officiante formalmente incaricato, in un contesto prestabilito, dice che sono sposato, da quel momento sono effettivamente sposato; se le medesime parole vengono pronunziate al di fuori del contesto, resto scapolo. Come si fa a stabilire universalmente quale sia il contesto adatto? Searle propone di identificarlo con l’intenzionalità reciproca o condivisa, ossia con un campo epistemologico entro il quale io so che se il celebrante mi dichiara sposato sarò sposato, lui sa che se io acconsento alle sue parole sarò sposato e tutti gli astanti sanno che, senza che accada nulla di biologico, la realtà umana cambierà nel modo che si aspettano. Questo campo è ciò che differenzia gli uomini dagli animali, in quanto è il contesto che consente di creare, tramite il linguaggio, delle funzioni di status che diventano permanenti nella rappresentazione condivisa, soggettiva a livello dell’essere ma oggettiva a livello del sapere.
Ora, credo che l’intenzionalità reciproca sia il campo di battaglia della progressiva erosione populista delle istituzioni. Se siamo entrati nell’euro o se abbiamo un presidente del Consiglio nominato dal presidente della Repubblica è perché ci siamo messi d’accordo che sia così (soggettività ontologica) quindi sappiamo che è così è basta (oggettività epistemologica). La volontà di tornare unilateralmente alla lira senza pagarne le conseguenze, per esempio, è suffragata dal tentativo di spiegare alle masse che l’adesione alla moneta unica è stata un’imposizione arbitraria quindi priva di valore ontologico (come sottintende chi dice che l’euro è una moneta farlocca, che è la valuta dei banchieri, o che somiglia ai soldi del Monopoli): si lavora sulla rappresentazione condivisa della realtà umana per minarne lo statuto epistemologico. Allo stesso modo il luogo comune menzionato da Marine Le Pen in apertura glissa sul dettaglio che, secondo la Costituzione italiana, chi esercita il potere esecutivo non venga eletto dal popolo come invece in Francia. Ripetere questa formula da anni è un modo per sottrarre la Costituzione all’intenzionalità reciproca, riducendo i suoi articoli a epistemologicamente soggettivi in quanto frutto di un accordo e privandoli di valore ontologico poiché non collimano con il parere espresso da chi ritiene che il presidente del Consiglio debba essere eletto dal popolo. Sarebbe forse il caso di spiegare agli italiani che, se qualcuno compisse questa stessa operazione con le banconote, smetteremmo di avere in tasca soldi dotati di valore epistemologico e avremmo solo biglietti dall’oggettivo valore ontologico di carta straccia.
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