La Biennale si fa labirinto, come i vicoli di Venezia
Un allestimento che genera percorsi e interpretazioni sempre nuove. Milovan Farronato, curatore del Padiglione Italia alla 58esima Esposizione Internazionale d'Arte, ci racconta la sua sfida
Venezia, indiscusso centro cartografico del Rinascimento, è come un labirinto che nei secoli ha affascinato e ispirato l'immaginazione di tanti creativi, da Jorge Louis Borges a Italo Calvino, e non è un caso se l'autore, tra gli altri, de “Il barone rampante”, “Il cavaliere inesistente” e “Lezioni americane” l'abbia descritta come un luogo in cui le carte geografiche “sono sempre da rifare, dato che i limiti tra terra e acqua cambiano continuamente, rendendo gli spazi di questa città dominati da incertezza e variabilità”. Lo ricorda al Foglio Milovan Farronato, curatore del Padiglione Italia alla 58esima Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, la cui apertura è prevista l'11 maggio prossimo.
E' proprio in quel contesto “dal carattere imprevedibile” che il curatore originario di Borgonovo Val Tidone, nel piacentino, tra i più apprezzati (e criticati, quindi di successo) a livello internazionale, ha avuto l'idea di “Né altra Né questa: La sfida al Labirinto”, una mostra in cui – come ci spiega – le opere esposte saranno in stretto dialogo tra loro e con l'allestimento così da generare continuamente nuovi percorsi e nuove interpretazioni. Quello che ha voluto fare con questo progetto, interessante già dal nome e dal sottotitolo, che è un chiaro omaggio a Calvino e al suo omonimo saggio seminale del 1962, “è dare forma all'intricata complessità dei rapporti che definiscono l'esperienza del conoscere”. Il labirinto – tiene a precisare, avvolto da un look che piacerebbe di sicuro ad Alessandro Michele e a Gucci, main sponsor del Padiglione – “è un simbolo, una valevole metafora per rappresentare la complessità, l'emblema del disordine, un paradosso, uno specifico esserci di tempo e spazio”, un invito a fermarsi a riflettere per poi ricominciare a camminare subito dopo, andando avanti e indietro, come si farà – ce lo ha assicurato – in questa mostra. “La sfida del labirinto” è un concetto chiave, maturato assieme al coordinatore scientifico Stella Bottai, ed è un progetto culturale che cerca una letteratura aperta a tutti i linguaggi possibili.
In ogni labirinto, tra linee, immagini e tendenze solo apparentemente in disaccordo, una volta entrati, si ha voglia di uscire fuori, anche se non sarà mai semplice. “Nessun'altra azione è concessa se non il tentativo di andare verso una scappatoia e una fuga”, aggiunge Farronato, ma lui, così come lo scrittore che lo ha ispirato, non andrà mai alla ricerca della soluzione, sarebbe troppo semplice e banale. Meglio, quindi, interrogarsi su come poter vivere dall'interno in maniera attiva proprio quell'esperienza del labirinto esistenziale che consiste nel differimento continuo, nell'avere nella contraddizione la regola organizzativa.
Tre saranno gli artisti italiani coinvolti: Enrico David – originario di Ancona, con il suo legame stretto con la memoria e il passato, la milanese Liliana Moro – con un lavoro che si prende carico della storia cercando di portarla oltre (ricordate la sua installazione con una Fiat Cinquecento proposta nel 1992 a Documenta?) e la romana Chiara Fumai, scomparsa due anni fa, un'artista che è riuscita a sviluppare una dedicata rilettura in chiave femminista del canone storico occidentale da sempre improntato su valori di dominazione patriarcale. Tre personaggi molto diversi che con le loro opere e biografie hanno segnato percorsi artistici contemporanei, distinti per spirito di ricerca tra passato e presente. Tutte le opere d'arte sono collocate strategicamente in diversi punti del percorso con l'intento di mettere in relazione diretta le tre pratiche artistiche e di enfatizzare meccanismi di drammaticità e sorpresa nell'incontro tra opera e pubblico.
Le aperture e i passaggi tra le varie stanze del padiglione e le pareti di diversa altezza rendono l'intero spazio concettualmente unico, un labirinto in cui, volendo citare Umberto Eco, “anche le scelte sbagliate producono le soluzioni e contribuiscono a complicare il problema”. Il lavoro dei magnifici tre viene raccontato anche nel prezioso e dettagliato catalogo della mostra pubblicato da Humboldt Books, con testi, tra gli altri, del presidente della Biennale di Venezia, Paolo Baratta, e del commissario del Padiglione Italia, Federica Galloni. Nel catalogo è inserito anche, per la prima volta nella traduzione inglese, proprio il saggio di Calvino che ha ispirato, come ricordato, il procedimento curatoriale del Padiglione italiano.
Da non perdere, se sarete in quei giorni a Venezia, l'opera site specific di Christian Holstadt – “Consider yourself as a guest (Cornucopia)” – ispirata al tema della protezione dei mari e presentata da FPT Powertrain Technologies, altro main sponsor del Padiglione Italia. Trattasi di una vera e propria cornucopia realizzata interamente con rifiuti plastici in cui sarà portato a galla, mai termine fu più azzeccato, un problema sempre più attuale e urgente. Viste le premesse, ne vedremo delle belle, questo è sicuro.