Una preview di Miart a Milano (foto LaPresse)

I ventuno geni che hanno fatto di Milano la capitale mondiale del design

Marina Valensise

Una città laboratorio segnata dalla voglia d'innovare. Un libro

Menzione speciale, alla vigilia del Salone del mobile di Milano, per “The Design City, Milano città laboratorio”, l’antologia a cura di Marco Sammicheli e Anna Mainoli, pubblicata da Forma edizioni (416 pp., 98 euro). E’ un bel tomo illustrato, con veste grafica curatissima che mette insieme per la prima volta in modo sistematico la biografia per immagini dei 21 geni dell’architettura, del design, e dell’alto artigianato industriale che hanno segnato nell’ultimo secolo la storia di Milano, unica capitale globale italiana, metropoli internazionale, trainata da un arcipelago di eccellenze in totale autonomia, o in reciproca indifferenza, come scrive il presidente della Triennale, Stefano Boeri.

 

 

E bisogna seguire Marco Sammicheli dentro la rete del sistema Milano che definisce quel laboratorio urbano unico al mondo, dove commercio, politica, comunicazione, impresa, industria, cultura e ricerca hanno generato il design e la cultura del progetto che il mondo ci invidia. Perché a Milano – e solo lì – un innovatore può vagliare la fattibilità dei suoi progetti con un artigiano, un falegname può correggere la curvatura di una sedia disegnata da un architetto, e un elettricista esperto può suggerire il circuito perfetto di un ingegnere delle luci. Questa sperimentazione produttiva, generatrice di infiniti cortocircuiti è un prodigio che parte da lontano. Per lo meno da piazza Castello 27 e cioè dallo studio dei fratelli Castiglioni, inventori fra le altre cose dello sgabello Mezzadro, per Zanotta, della lampada Arco, e con Manzù della Parentesi, per Flos. Tocca la casa inondata di luce del Vico, alias Magistretti in piazza Conservatorio. Porta allo studio in via Telesio di Franco Albini, che aveva come regola “Non celebrarsi mai”, e respirava la libertà del Veliero, la sorpresa del rosso Albini che è quello della metropolitana milanese, dei Tre Pezzi e della Luisa, poltroncine riproposte oggi da Cassina. E irradia oggi una forza di attrazione sui progettisti internazionali come Isao Hosoe, Ron Gilad, David Chipperfield, lo Studio Mumbai di Bijoy Jain.

 

Milano città mondo, città scuola, città fiera, dove la varietà dei luoghi e l’articolazione di flussi, merci e saperi, spingono i privati a una funzione pubblica e il pubblico a un’azione di qualità, in nome del servizio e del bene comune. Non è utopia. Ma una peculiarità che molto deve al genio dei pionieri. Ecco allora che coinvolgendo tanti esperti, spesso discendenti di quei geni, Sammicheli propone come prima tappa del viaggio lo studio di Piero Portaluppi in via Morozzo della Rocca, dove l’architetto della borghesia industriale meneghina (esposto in foto in bianco e nero da giovane, con pizzo, baffi e sguardo magnetico, e da vecchio, elegantissimo e calvo, fra i marmi onirici della casa degli Atellani) produceva i famosi “pacchetti completi” per i suoi facoltosi clienti. Ecco Gio Ponti, con l’immancabile papillon, steso sul plastico del Pirellone in via Dezza, poi la figlia Lisa nella redazione di Domus e il giardino anni 50 del suo studio, oggi sede degli archivi. Poi sul terrazzo di casa, vasto come un palcoscenico di teatro, entra in scena Guglielmo Ulrich, progettista di negozi famosi come Galtrucco, Picowa, Pica e Radaelli e degli arredi di famosi transatlantici. Poi compare Ignazio Gardella, il fondatore di Azucena con Caccia Dominioni e Corradi Dell’Acqua, anche lui chicchissimo in giacca e cravatta nello studio pieno di luce e molto asimmetrico di via Marchiondi. Ed ecco l’antimonumentale Bruno Munari che pare un Geppetto dietro il tavolo delle sue invenzioni, la lampada Falkland, l’Abitacolo, la Sedia per visite brevissime, sempre in nome dell’autonomia estetica dell’oggetto. Il viaggio continua con un grande innovatore e federatore di talenti poco conosciuto, Osvaldo Borsani, che invece fu il fondatore nel 1953 della Tecno di Varedo, il “prodotto azienda” suo capolavoro, dove disegno, prodotto, sistema di produzione, di vendita e di assistenza erano un tutt’uno. E poi, con due fari al posto degli occhi, spunta fuori Gino Sarfatti, l’artigiano della luce, fondatore nel 1939 di Artluce, produttore degli arredi di Albini, BBPR, Zanuso e Viganò. E ancora Luigi Caccia Dominioni in giacca e dolcevita nel suo studio di Piazza Sant’Ambrogio dalle pareti ocra, dove nascono la sedia Catilina, il divano Toro, e tanti altri pezzi iconici del Novecento.

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