Che disastro gli studenti con l'inutile fritto misto di filosofia
Apprendimento in gran parte basato sull’esercizio della memoria e l’esaltazione della mera erudizione. Alla fine, quel che resta è un cumulo di ovvietà. Ricordi e analisi sconsolata di un professore della Normale
Ogni anno, per quindici anni, durante la mia permanenza alla Scuola Normale Superiore di Pisa, ho corretto in media circa 120-140 compiti di filosofia per l’ammissione al corso ordinario della Scuola. La Sns ammette a seguire i corsi della classe di Lettere gli studenti che abbiano ottenuto le migliori medie alle prove scritte e orali (gli scritti sono rigorosamente anonimi). Di solito il numero degli ammessi era intorno a 28; le prove scritte da superare erano tre, in discipline a scelta dello studente, tra quelle insegnate alla Scuola e tre erano le prove orali. Ogni anno, il numero totale dei candidati, che però è cresciuto nel tempo, oscillava tra i 250 e i 300. Come ho detto, 120-140 erano i candidati che sceglievano di fare il compito di filosofia. Di questi, non tutti avevano vocazione filosofica: alcuni sceglievano filosofia perché si sentivano sicuri in questa materia, ma poi magari, una volta ammessi, avrebbero seguito il corso di lingue classiche, storia, italiano, ecc. Per più di trent’anni ho insegnato storia e filosofia della logica (prima a Firenze, poi a Pisa) e penso di aver chiaro il concetto di “rilevanza statistica”: considero comunque un buon test i risultati delle prove scritte, qualcosa insomma dalla quale, se non altro, trarre una morale.
Su 120-140 compiti, quelli accettabili, negli anni dal 2002 al 2012, erano non più di 12-15; meno ancora dal 2012 al 2017
Su 120-140 compiti, quelli accettabili, negli anni dal 2002 al 2012, erano di solito non più di 12-15; meno ancora dal 2012 al 2017, anno del mio pensionamento (nel nuovo lessico burocratico “messa in quiescenza”). Dopo il mio arrivo alla Scuola, con i colleghi di filosofia decidemmo di rinunciare al tema classico, di tipo “liceale” e di sostituirlo con la scelta di brani di filosofi di diverse epoche – dall’antichità a oggi (più o meno) – che chiedevamo ai candidati di illustrare e commentare. L’esperienza del “tema classico”, infatti, ci pareva non desse esiti soddisfacenti: i candidati, nella stragrande maggioranza, riassumevano in maniera stringata e piatta il manuale, per cui era difficile stabilire se avessero davvero interesse per la materia, se fossero in grado di argomentare e se avessero capacità filosofiche.
Il periodo delle “tracce d’autore”, dei passi da commentare rivelò che quasi nessuno dei candidati, con l’eccezione dei soliti 10 o 12 sapeva come presentare e commentare un testo. Di solito, il candidato standard procedeva così: riassumeva il passo che avrebbe dovuto analizzare, nel migliore dei casi spendeva qualche parola riguardo al significato filosofico del brano e poi partiva inarrestabile sul binario sicuro del manuale. Se il passo era di Descartes, spiegava chi era Descartes attraverso riferimenti biografici, ne riassumeva sommariamente il pensiero, ripeteva in modo enfatico qualche giudizio del manuale adottato al Liceo, infarciva il tutto con osservazioni retoriche ingenue (“il più grande pensatore dell’epoca moderna”, “un vero genio filosofico”, ecc.) e luoghi comuni della filosofia da rotocalco (Nietzsche e Marx “filosofi del sospetto”, il “dominio della tecnica” come male supremo dell’epoca contemporanea, Kant che opera una “rivoluzione copernicana’, ecc.).
Il periodo delle “tracce d’autore”, dei passi da commentare, rivelò che quasi nessuno sapeva come presentare e commentare un testo
Siccome fioccavano le insufficienze, fioccavano anche le proteste: dei genitori – ma come, la mia bambina così brava, con 9 a filosofia ha preso 3! – degli stessi candidati, sul web o tramite e-mail ai docenti. Qualche genitore incredulo chiese di vedere il compito, alcuni accompagnati dal Professore del figlio/a maltrattato/a. Ne nascevano situazioni imbarazzanti ma devo dire, di fronte ai dati di fatto, risolte perlopiù in modo civile. Al massimo, qualche genitore risentito minacciava: “Ha bocciato mio figlio ma sentirà parlare di lui!”. Non veniva specificato per quale motivo.
I manuali sono cambiati: non solo storia, ora propongono pure i testi degli autori, ma in forma di ritagli. E anche così non hanno tanto senso
Tanti i ragazzi che prendevano voti bassi. Alla povertà concettuale si univano incertezza sintattica e sgrammaticature
Fioccavano le insufficienze, fioccavano anche le proteste: dei genitori, degli stessi candidati, sul web o tramite e-mail ai docenti
Io: C’è un autore che preferisce?
Candidato: Sì, Hegel.
Io: Ah… e come mai?
Candidato: Perché è l’unico che capisco.
Io (leggermente stupefatto e un poco preoccupato): Bene… e cos’ha letto di Hegel?
Candidato: Niente! Lo conosco dal manuale.
Venne meno il senso della distanza tra docente e discente. In un tema fu possibile leggere che “Ulisse, in fondo era un gran figlio di puttana”
Il giovane Hegel pare fosse ossessionato dallo scetticismo: considerata in sé, come successione di filosofi e teorie filosofiche, la storia della filosofia sembrava spalancare la porta allo scetticismo. Si comincia col filosofo A, al quale segue il filosofo B, che dice il contrario di quel aveva detto A, poi viene C, che era in disaccordo con entrambi, e così via… In questo modo si finisce per non saper più da che parte stia la verità e tutto sembra stemperarsi in una grande zuppa filosofica, senza capo né coda. L’idea geniale di Hegel fu quella di dire che la verità in effetti non stava nei singoli ingredienti della zuppa, ma nella zuppa stessa, che egli chiamava Assoluto, vale a dire nella totalità di tutti gli ingredienti. La semplice raccolta di tutti gli ingredienti, però, lasciava intatto il carattere di zuppa – la tipica assenza di struttura propria di tutte le zuppe – perciò diveniva essenziale trovare un modo per introdurre un’unità, una sorta di filo conduttore, che legasse insieme gli ingredienti. E questo “filo conduttore”, altro spunto geniale, per Hegel è Hegel stesso: siccome gli ingredienti della zuppa sono filosofi e teorie filosofiche, vale a dire enti che vivono del e nel pensiero, se uno riuscisse a ripensare il manifestarsi e il succedersi l’un l’altro dei filosofi e delle filosofie, ricostruendone il percorso fino all’ultima filosofia e se mostrasse come quest’ultima filosofia fosse capace di ricapitolare in sé tutte le altre, ecco che la zuppa non sarebbe più un insieme disorganico di ingredienti, ma avrebbe una struttura. Hegel, infatti, pensa la propria filosofia come il culmine e il compimento della storia della filosofia occidentale. Naturalmente, la filosofia dopo Hegel ha continuato a prosperare e la storia della filosofia ha continuato anch’essa, di conseguenza, a svilupparsi. Nessuno, perciò, pensa più che la filosofia hegeliana ne sia il compimento, ma così, di nuovo, si torna alla storia della filosofia come raccolta di opinioni.
Gerrit van Honthorst, “Il filosofo determinato”, 1620-25 (collezione privata)
La filosofia nei nostri licei ha uno spazio maggiore che altrove, eppure sulle riviste internazionali è molto bassa la presenza di filosofi italiani.
Torniamo, però, adesso, dopo questa parentesi, al test di filosofia per l’ammissione alla SNS. A suo tempo mi chiesi cosa avesse determinato il peggioramento della qualità dei compiti, a partire all’incirca dal 2013. La mia impressione era che ci fosse stato un peggioramento generalizzato della scuola media superiore, che aveva coinvolto non solo filosofia, ma anche letteratura italiana, storia, ecc. A giudicare dai risultati dei test di ammissione, a salvarsi erano (in parte) soltanto gli insegnamenti “più tecnici” quali greco e latino.
La grande zuppa filosofica: come successione di autori e teorie, la storia della filosofia sembra aprire le porte allo scetticismo
Da anziano ormai “in quiescenza”, posso permettermi di ricorrere all’usurato (e sempre fastidioso, mi rendo conto) “ai miei tempi”. Ebbene, il liceo pre Sessantotto non era molto meglio del liceo di oggi, solo che noi studenti avevamo dalla nostra l’iniziativa privata. Gran parte dei miei compagni magari studiavano poco e male ma leggevano molto (e di tutto: romanzi, saggi, fumetti…). Questo tipo d’iniziativa privata, una sana lettura anarchica, che aiutava a crescere e a conoscere il mondo, sembra scomparso per sempre dall’orizzonte dei “giovani d’oggi” (almeno nel nostro Paese). Riporto qui un altro dialogo tra me e un candidato per dare un’idea del cambiamento.
Io: Lei non mi pare molto interessato, in realtà, alla filosofia.
Studente: No, in effetti, io vorrei occuparmi soprattutto di letteratura.
Io: Ottimo! C’è un autore che ama in particolare?
Studente (con entusiasmo): Certo! Italo Svevo.
Io: Ha letto La coscienza di Zeno?
Studente: È il mio romanzo preferito!
Io: Benissimo, ricorda il finale? È un finale che si presta a considerazioni filosofiche…
Studente (con aria mesta): Beh… ecco… però non l’ho letto tutto… mi sono fermato prima della fine…
Riflettendo su tutto ciò, già anni prima della mia “messa in quiescenza”, mi sono interrogato a lungo sui motivi di questo peggioramento dell’istruzione erogata alla scuola media superiore (almeno per quello che concerne l’insegnamento della filosofia e delle humanities in generale) e confesso di avere qualche vaga idea in proposito ma di non essere in grado di articolarla con il dovuto rigore. L’unica certezza che ho maturato col tempo è che il manuale di filosofia, l’insegnamento storico-diacronico della disciplina così com’è concepito non abbia più senso. Che senso può avere, infatti, infarcire la testa di giovani che si affacciano al mondo d’oggi con sfilze di nomi e successioni più o meno ordinate di strani individui che sostengono cose perlopiù bizzarre ai nostri occhi, senza dar loro modo di comprendere in maniera adeguata quel che stanno studiando? Così si passa in fretta da quello che crede nel mondo delle idee a quello dell’io penso, a quell’altro che crede ci siano le monadi, a quello della dialettica “tesi-antitesi-sintesi”, a quell’altro che dice che senza Dio tutto è permesso, a quello che ha scoperto il predominio della tecnica… ecc. ecc., in un succedersi di ovvietà e luoghi comuni senza sosta.
Il liceo pre Sessantotto non era molto meglio del liceo di oggi, solo che noi studenti avevamo dalla nostra l’iniziativa privata
Mi chiedo se non sarebbe meglio eliminare o ridurre al minimo il manuale e limitare l’insegnamento della filosofia per esempio, alla lettura annuale di un vero classico, Platone o Aristotele o Hegel o Kant, dedicando tutto il tempo necessario all’inquadramento di un unico testo e all’approfondimento della dottrina che vi è contenuta, in questo caso sì, cercando di ricreare lo sfondo culturale nel quale fu elaborata. Una lettura diretta di Platone può generare interesse e passione per la filosofia, dubito che ciò accada nel caso di una lettura del manuale.
D’altra parte, mi lascia perplesso il fatto che, alla fine dei tre anni di liceo, un bravo studente domini una sterminata aneddottica filosofica e abbia soltanto una vaga idea o nessuna cognizione circa il significato di concetti come “tasso d’interesse”, “prodotto interno lordo”, “bilancia del commercio con l’estero”, “mercato azionario”, ecc. Ovviamente non penso che si debba togliere l’insegnamento di filosofia dalle superiori, per sostituirlo con quello di economia, ma che non vi sarebbe nulla di male a ridimensionarlo, a vantaggio di altre discipline. L’insegnamento di tutte le discipline umanistiche nelle medie superiori è ancora improntato alla riforma Gentile; e l’insegnamento della filosofia in particolare è caratterizzato dall’impronta di un hegelismo che ha fatto il suo tempo.
C’è un dato, secondo me, sul quale non si riflette mai abbastanza: l’insegnamento della filosofia nella scuola media superiore ha uno spazio maggiore nel nostro paese che in altri paesi europei. Eppure, se si sfogliano le principali riviste internazionali di filosofia, la presenza di filosofi italiani è molto bassa. Non solo: se uno studente universitario cerca un buon saggio o un testo introduttivo affidabile su un filosofo della tradizione occidentale, da Platone a Heidegger, è quasi sempre costretto a rivolgersi ad autori non-italiani, perlopiù di lingua inglese (appartenenti al Regno Unito, per intendersi, o Nord-americani). Ciò vale, in special modo, per settori che, in qualche modo si penserebbe dovessero essere di nostra pertinenza, come la filosofia medievale (basta pensare alla quantità di manoscritti medievali custoditi nelle nostre biblioteche). Quindi, mi chiedo: a cosa serve o è mai servita tutta la persistente erudizione di storia della filosofia, legata a una manualistica ormai obsoleta? E quali sono i risultati scientifici della diffusione dell’informazione e della formazione filosofica in Italia?