Come la fotografia dei buchi neri, anche noi tutti viviamo mentendo

Simonetta Sciandivasci

A questo, anche, servono le bugie: a dirci che una cosa esiste. Il romanzo di Elisa Casseri

Roma. Viviamo mentendo. Tutti. Uomini, donne, brave e cattive persone, deboli, forti, potenti, adolescenti, animali, piante. Persino le piante.   

Per questo, servendosi del loro ciclo vitale, Elisa Casseri, scrittrice e drammaturga, ha sistemato e seguito vent’anni della vita dei personaggi del suo nuovo romanzo, “La botanica delle bugie” (Fandango), uscito il giorno in cui l’uomo ha dato un aspetto ai buchi neri, con una foto che è una bugia, perché i buchi neri non sono visibili, quindi neppure fotografabili, e quel cerchio arancione su sfondo nero non è una foto, ma un’elaborazione grafica di dati radio. Fa differenza? A questo, anche, servono le bugie: a dirci che una cosa esiste. Carlo Rovelli ha scritto sul Corriere della Sera che il direttore del centro di ricerca in cui lavorava molti anni fa non era per niente convinto che i buchi neri esistessero, “e invece... eccolo lì”. Le coincidenze sono altre bugie, invenzioni, arbitri, correzioni, forzature, però Casseri ha scritto una pièce che in un buco nero è ambientata e si chiama “L’orizzonte degli eventi” (Premio Riccione 2015), che è stata portata in scena a New York e Madrid, e il suo romanzo sulle bugie è uscito il giorno in cui una bugia ci ha detto che i buchi neri ci sono davvero.

  

Si deve mentire anche per sopravvivere. Soprattutto per sopravvivere. “Quando si strappa la pelle, inizia la vita. Il seme si gonfia, rompe il tegumento e prova a essere gemma. Respira, assorbe, suda, si fa coraggio. Si convince che sarà semplice diventare una pianta. La germinazione è la sua prima bugia”. Così comincia “La botanica delle bugie”. E poi arriva l’uomo, l’umano: un bambino che casca da un trattore e l’amica a cui ha rubato un bacio, poco prima, prova a soccorrerlo e chiamare aiuto, mentre non fa altro che pensare che quell’incidente sia colpa sua, perché è sempre colpa sua, perché è impossibile fare la cosa giusta quando si è, come tutti siamo, investiti di un’aspettativa, e di un ruolo, e di una funzione, quando si è immersi in una realtà che riteniamo necessaria e, invece, è semplicemente contingente. Agli sbagli non ci conducono le bugie, ma la nostra incapacità di ritrovarci, riconnetterci alla verità di quello che siamo e desideriamo essere, e che seppelliamo raccontandoci il falso, montando un significato falso sulle cose che accadono, credendo così di silenziarle, seppellirle, depotenziarle, e impedire loro di venirci a distogliere dal progetto che abbiamo sulla realtà. Un progetto che chiamiamo verità e che, però, il più delle volte, è una raffinatissima menzogna. Un significato che fabbrichiamo per scappare dalla irreversibilità delle cose, che esistono e accadono indipendentemente da noi. Un bacio che sottovalutiamo e dal quale, invece, come accade ai due protagonisti di Casseri, si determineranno tutte le nostre relazioni future, e anche quelle di chi ci sta intorno; i figli che avremo, quelli che non avremo, i rifiuti, i tormenti, gli abbandoni. “Siamo noi le forze avverse, siamo noi ad aver rallentato le vite degli altri, a esserci messi in mezzo a quello che poteva essere, agendo senza vera convinzione”, scrive Casseri. Quante vite distorciamo, distorcendo la nostra? Quante famiglie non costruiamo, inseguendo il meglio? Quanti “meglio” sono il frutto non di un’aspirazione, ma di un’aspettativa?

   

“La cosa migliore da fare contro la vita è piegare il giornale in modo che ne risulti un quadrato perfetto”, scrisse Virginia Woolf in “Un romanzo non scritto”. Bisogna capirla molto poco, la vita, per lasciarla libera di essere vera. Bisogna liberarsi degli strumenti con cui la indirizziamo, per lasciarla fiorire. “Le storie fioriscono nonostante tutto”, malgrado le bugie, malgrado noi, nonostante l’idiota pervicacia con cui ci illudiamo che esista il destino, mentre esistono soltanto le scelte e le urla che emettono quando le sbagliamo. C’è chi ha il talento della sordità per non ascoltarle, e chi, invece, no. Chi viva nel modo più giusto è impossibile saperlo e c’è una domanda che un personaggio si fa, e che ronza in tutto il romanzo di Casseri: “Ci hanno distrutto di più vent’anni di bugie o cinque minuti di verità?”. E’ irrisolvibile, la storia di questo libro. Perché è la storia di tutti. E la dice con il tu, con il voi, con l’io, con la terza persona. E nonostante questo, nonostante i pezzi, le angolature, le molte versioni, è sempre la stessa storia. Questa: siamo preda delle scelte degli altri, amiamoli meglio per aiutarli a scegliere meglio. E’ l’amore dell’amicizia, per Casseri, la sola bussola. Non l’antidoto, non il rimedio: la bussola.

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