Divagazione leopardiana (con auto) su un bassorilievo a San Lorenzo in Lucina
La bellezza e la folle mania di trasformare Roma in un drive in
Roma. La piazza San Lorenzo in Lucina è un’area pedonale del centro storico da più di vent’anni, ma il portico della chiesa dovrebbe essere off limits per ogni mezzo, e invece spesso viene usato come un parcheggio automobili, infischiandosene anche dell’adiacente stazione dei carabinieri. Peccato perché proprio dove sostano le macchine c’è un bassorilievo con una storia interessante. A Roma se vuoi fotografare qualcosa di pregio spesso ti tocca mettere in conto la presenza di un’automobile, ormai son dappertutto. Basta perlustrare il centro storico con Google streetview per accorgersi che ogni angolo ne ha una, a differenza del resto del mondo, dove tendono a sparire come un elemento di disturbo sia ambientale che estetico. Ricordo che di recente si pensò addirittura di allestire una sorta di drive in al Colosseo, illustrando la brillante iniziativa con un rendering pieno di gente in auto che guardava un film proiettato sullo sfondo dell’anfiteatro Flavio. Poi forse qualcuno avvertì gli organizzatori dell’assurdità, e per accontentare gli ecologisti corressero il rendering sostituendo le macchine normali con auto elettriche di uno sponsor energetico.
Ad ogni modo, i proprietari delle macchine parcheggiate nel portico di San Lorenzo in Lucina probabilmente ignorano che quel bassorilievo con tre figure non è uno dei tanti che tappezzano i muri delle chiese di Roma, ma ha una storia degna di nota che coinvolge grandi artisti. Infatti lo realizzò nel 1822 Pietro Tenerani, uno scultore di fama con l’atelier in piazza Barberini e che fu allievo del danese Bertel Thorvaldsen, e proprio nella sua bottega lo vide Giacomo Leopardi nell’ottobre 1831, cioè nove anni dopo, quando gli fece visita assieme all’amico Antonio Ranieri. A quell’epoca i due si erano appena trasferiti a Roma da Firenze e vivevano in un appartamento di “tre belle stanze a fronte strada” in via delle Carrozze 63, un indirizzo che però non coincide con la numerazione attuale, dato che secondo Ranieri uno degli usci di casa “dava in via dei Condotti”. Il bassorilievo, che in realtà è il monumento funebre di Clelia Severini, era stato commissionato a Tenerani dall’avvocato Giuseppe Severini per commemorare la figlia morta a soli 17 anni. Essendo deceduto lo stesso Severini prima della consegna dell’opera, il bassorilievo rimase a lungo nella bottega dello scultore, dove appunto lo notò Leopardi. Il poeta ne fu molto colpito, forse perché fresco reduce dalla delusione d’amore per Fanny Targioni Tozzetti, e infatti scrisse, in una lettera a Carlotta Lenzoni de’ Medici (l’unica donna che lo amò senza essere ricambiata), che lo trovava “pieno di dolore e di costanza sublime”, tanto da ispirargli in seguito una delle sue Canzoni Sepolcrali (“Sopra un basso rilievo antico sepolcrale dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire accomiatandosi dai suoi”).
La scena, seppur orchestrata da Tenerani con gesti sobri e misurati, è quella dell’addio ai genitori. La madre della defunta volge gli occhi al cielo come in una muta preghiera, mentre il padre disperato reclina il capo sul petto e non ha la forza di guardare la figlia. Il cagnolino, rizzandosi sulle zampe posteriori, pare implorare Clelia di restare, ma la fanciulla, in piedi al centro della composizione, sta per sfilare la mano sinistra dalla destra paterna, suggellando così la sua dipartita. Più o meno la stessa che si ha la tentazione di augurare ai proprietari delle macchine parcheggiate lì davanti.
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