Jean Vanier, un profeta silenzioso radicato nella chiesa viva di Francia
Morto il fondatore della “Arche” che affascinò anche Carrere
Milano. Da sé, Emmanuel Carrère si definisce “uno scettico, un agnostico – nemmeno abbastanza credente da essere ateo”. In questo, il prototipo perfetto dell’intellettuale occidentale contemporaneo. Eppure Emmanuel Carrère, che era stato “cristiano per tre anni”, prima di smettere, alla fine del suo lungo racconto-percorso sulle tracce cancellate, o ingannatrici?, di San Paolo (Il Regno, libro scritto nel 2014) era finito proprio lì, alla comunità dell’Arca di Jean Vanier. In quel piccolo villaggio della Piccardia dove quel vecchio uomo forte una quercia, mite per grazia e volitivo per natura, da oltre cinquant’anni condivideva la sua propria vita con dei malati di mente, con dei disabili. Non faceva assistenza: condivideva la vita, quell’uomo che poteva dire così, di Gesù: “Quando istituisce l’eucaristia si rivolge a tutti e dodici i discepoli insieme; ma quando si inginocchia e lava i piedi, lo fa a ciascun discepolo individualmente, toccando la sua carne”. Affascinato chissà, ma certo Carrère aveva accusato il colpo di una figura straordinaria come Jean Vanier. E in questo, senza stare a indagare oltre sullo scrittore parigino, c’è qualcosa di profondamente francese, che anche i laici, o gli atei francesi conoscono, riconoscono. Tanto da costringere ad andare fino al suo paesello. Perché Jean Vanier è una figura particolare, appartata ma imprescindibile, del cristianesimo francese contemporaneo. Di quella cattolicità che appare così spesso fragile, o ferma, in superficie. Ma che è invece infinitamente radicata, e capace di generare scelte radicali, e testimonianze profetiche. Profeti e profezie di cui è ricca la storia della fede in Francia da sempre, e il Novecento non è stato certamente da meno. Così che quando si parla della crisi della chiesa in Francia (in Europa) non si può prescindere da figure come quella del fondatore dell’Arca.
Jean Vanier è stato un grande testimone della carità cristiana, senza ulteriori aggettivazioni, della nostra epoca. Non esattamente un figlio del popolo, come spesso accade agli uomini capaci di scelte decisive. Di famiglia canadese, suo padre fu generale nella Grande Guerra, poi ambasciatore e governatore generale del Canada. Anche Jean era divenuto ufficiale della Royal Navy e poi insegnante di filosofia. Poi, quello che definiva l’incontro con la Misericordia. Nel 1963, quando da giovane insegnante visitò un istituto dove erano rinchiusi 80 malati mentali. E la decisione di condividere la vita con loro. Lascia la scuola e fonda una piccola comunità a Trosly-Breuil, dapprima con due malati mentali gravi. L’Arche nacque così, nel 1964. Oggi ne fanno parte 140 comunità in tutto il mondo, in cui si pratica lo stesso metodo di accoglienza, guidati dalla esperienza del piccolo movimento “Fede e Luce” che Vanier stesso ha fondato e che è formato da ora da oltre 1.500 gruppi nel mondo. Era nato a Ginevra nel 1928. E’ morto lunedì a Parigi.