L'assurda storia del Caravaggio immobile
“Le Sette opere della Misericordia” doveva accogliere i visitatori all’inizio della mostra che si tiene al Museo Capodimonte fino al 14 luglio. Ma non è stato possibile trasferirlo
E’ facile fare muovere le folle per le mostre dedicate al Caravaggio. Molto meno spostare alcune delle sue opere. Una in particolare, “Le Sette opere della Misericordia” grande pala dell’altare della chiesa del Pio Monte della Misericordia a Napoli. Doveva accogliere i visitatori all’inizio della mostra che si tiene al Museo Capodimonte dal 12 aprile fino al 14 luglio sui 18 mesi trascorsi dal maestro nella città tra il 1606 e il 1610. Ventidue quadri di artisti napoletani sono messi a confronto con sei opere del Merisi provenienti da istituzioni italiane e internazionali.
Alla misericordia il Mibac ha preferito fare opera di intransigenza. Il quadro rimarrà dove sta. Nel luogo per cui è stato concepito e che lo ospita da più di tre secoli. Al suo posto, delle fotografie in alta risoluzione grazie all’Art Camera di Google. Per quelli che non posso fare a meno di osservare la tela dal vivo delle navette sono messe a disposizione per raggiungere la chiesa Pio Monte. L’ultima mostra dedicata a Caravaggio al Museo di Capodimonte, diretto dal 2016 dal francese Sylvain Bellenger, risale al 2004. Quindici anni dopo, tutte le opere, o quasi tutte, dipinte dall’artista a Napoli sono riunite. Vengono da tutta Europa: le Salome con la testa di San Giovanni Battista della National Gallery di Londra e del Palazzo Reale di Madrid, ma soprattutto la Flagellazione del Cristo del Museo delle Belle Arti di Rouen, appena da restaurato.
“Le Sette Opere della Misericordia”, Caravaggio, 1607, Pio Monte della Misericordia
“Le Sette opere della Misericordia” non è l’unico a mancare alla chiamata. Non si possono ammirare la Crocifissione di Sant’Andrea conservata al Cleveland Museum of Art e David con la testa del Golia del Kunsthistorisches Museum di Vienna. I quadri non possono viaggiare per motivi di conservazione. Questo è il motivo che è stato invocato da Gino Famiglietti, il nuovo direttore generale del ministero della Cultura, per porre all’ultimo momento il suo veto allo spostamento delle Sette opere della Misericordia. Sconfessa Luciano Garella, il soprintendente delle belle arti e del paesaggio di Napoli, che aveva dato il permesso. Una questione spinosa. Di fatto e di nome, quello di Nicola Spinosa, ex direttore di Capodimonte, nonché sovrintendente e esperto di Caravaggio. Si oppone a fare scendere dall’altare la famosa tela, ma fa scendere in campo con lui fior fiore di intellettuali e professionisti. Un articolo sul Corriere del Mezzogiorno suona la chiamata alle armi per impedire il trasferimento. Si sottintende che lo scopo della mostra non è scientifico ma quello di “fare cassa ” con il nome Caravaggio, una delle più famose “rockstar” dell’arte. Il cavallo di battaglia del critico Tomaso Montanari autore con Vincenzo Trione di uno stimolante pamphlet “Contro le mostre”. Basta con queste esibizioni pericolose, per la conservazione delle opere che vengono sradicate dal loro contesto. Le “Sette opere” sono state così erette a simbolo di questa deriva: le loro dimensioni (390 x 260 cm) rendono un viaggio complesso e pericoloso, nonostante sia di soli 2 km in linea d’aria.
C’è poi un appello firmato, tra gli altri, dal filosofo Aldo Masullo, dal giurista Francesco Paolo Casavola e dal critico musicale Paolo Isotta. S’insiste sulla “complementarietà tra l’architettura, il contesto della Cappella, divenuta inscindibile con il dipinto che, dunque, non può essere nemmeno momentaneamente separato”. Per dare ancora più forza ai loro argomenti veniva anche invocata una delibera dei fondatori della Cappella che stabilirono il 27 ottobre del 1613 la perpetua inamovibilità dell’opera che avevano commissionato.
Una belle vue d’ensemble dell’attacco che però soffre di qualche imperfezione nei dettagli. Si dimenticano, infatti, le condizioni in cui il dipinto, che aveva trovato rifugio a Capodimonte dopo il terremoto del 1980, fece il suo ritorno nella sua cappella di origine nel 1991. Le fotografie di Stefano Renna scattate all’epoca, e pubblicate recentemente su Repubblica, mostrano il quadro deposto sul pavimento in mezzo alla strada, senza alcuna protezione speciale, tra i passanti. Alessandro Pasca di Magliano, soprintendente del Pio Monte di Misericordia, sempre attraverso le colonne del Corriere del Mezzogiorno, ricordava come fu lo stesso Spinosa, in quanto direttore di Capodimonte, nel 2004 a richiedere la stessa opera d’arte per la mostra su Caravaggio. Infine sottolineava che “non risponde al vero che la delibera assunta dal governo del Pio Monte della Misericordia in data 27 agosto 1613 stabilisse – come vorrebbe Spinosa – che mai per nessun motivo, sia pure momentaneo e occasionale, la tela del Caravaggio poteva essere rimossa dalla sua chiesa”. Vero è invece che, con quella deliberazione, il governo dell’Istituto decretò che “per nissuno prezzo si possa mai vendere” ovvero definitivamente collocare altrove il dipinto in oggetto.
Il Mibac si è rivelato inamovibile quanto le sette opere della Misericordia. Dando ragione agli oppositori del suo spostamento, il ministero ha trasformato il dibattito in polemica. La lite ha evidenziato la mancanza di una chiara regola sui prestiti, che consente ad alcuni funzionari di esercitare un potere quasi discrezionale.
L’appello contro lo spostamento ha suscitato una lettera aperta firmata da un folto gruppo di intellettuali tra cui Daniel Pennac, Giuliano Volpe, Mimmo Jodice o ancora Daniel Burren. Intendevano esprimere il loro dissenso nei confronti “della concezione elitaria e conservatrice della cultura” e “promuovere la crescita spirituale delle comunità, superando la falsa contrapposizione tra tutela e valorizzazione. I beni culturali sono beni comuni di appartenenza collettiva e non possono essere oggetto in nessun caso di azioni escludenti”.
Il direttore d’orchestra napoletano Riccardo Muti ha aggiunto la sua nota sostenendo il direttore di Capodimonte, mentre il sindaco della città, Luigi De Magistris, si lamentava che avessero “prevalso i veti incrociati, i professionisti dell’immobilismo, quelli che godono della cultura solo se la fanno loro ” prima di rendere omaggio a Sylvain Bellenger.
Per quest’ultimo, il rifiuto del prestito è solo un pretesto, l’argomento è principalmente politico. “Mentre molti degli edifici storici della penisola versano in condizioni critiche nella massima indifferenza – dice Bellenger al Foglio – la preoccupazione per lo stato di conservazione di un dipinto che non è stato minacciato ha scatenato una vera campagna di stampa. La burocrazia italiana, vicina a quella sovietica, è un esperimento antropologico. Alcuni funzionari abituati alla loro onnipotenza all’interno del ministero non hanno ancora accettato che i direttori stranieri siano stati nominati a capo dei musei italiani. Il loro rifiuto non sarebbe riuscito ad impedire la mostra, le ha semplicemente dato formidabile eco”.