Le piccole lezioni di felicità di Ilaria Gaspari
C’è perfino umorismo nel raccontare come si può essere stoici in cucina
“Lavoriamo un po’ su Tommy?” era così che Chesterton proponeva alla segretaria la dettatura d’un nuovo capitolo della propria monografia di Tommaso d’Aquino. Gli amici tremavano e temevano ne derivasse un’accozzaglia superficiale. Per il grande neotomista Gilson fu invece un capolavoro, che non si limitava a guardare l’Aquinate ma “guardava con lui”. E’ celebre il detto di Camus per cui “Kierkegaard brandiva davanti a Hegel una minaccia terribile: inviargli un giovane che gli avrebbe chiesto dei consigli”, eppure la cartina di tornasole del carisma d’un pensatore sta proprio nel farci desiderare di vivere con lui, pranzare o camminare con lui, come disse Richard Blunck a proposito di Nietzsche.
Durante due terremoti esistenziali quali la fine d’una relazione e un trasloco, eventi che sanno parimenti renderci postumi a noi stessi, a brandire arti fantasma o annaspare dietro coordinate ormai inutili, Ilaria Gaspari ha deciso di ripartire dedicando ogni settimana all’applicazione scrupolosa dei dettami d’una diversa scuola di pensiero greca. De Crescenzo sapeva scovare eredi di Pirrone e Aristotele tutti intorno a sé, testimoni appunto d’una philosophia perennis incarnata da commercianti platonici ed elettrauti epicurei. In Piccole lezioni di felicità (Einaudi) Ilaria Gaspari invece tenta di educare la stoica o la scettica dentro di sé, applicandosi e annotando dei piccoli percorsi di rigore e attenzione, consapevole che l’abito fa effettivamente il monaco e persino una postura diversa permette pensieri diversi. Il risultato è un viaggio dove le nostre fragilità, le nostre ossessioni e pigrizie (“in qualche modo, il vero procrastinatore riesce sempre, come per incanto, a proiettare su ogni frazione del presente l’ombra di quella spada di Damocle temporale che chiamiamo tardi”) cercano di stare al passo con gli esercizi fisici e mentali che hanno consentito “la divina tranquillità” di un Pirrone o Epitteto, riscoprendo l’arte impegnativa dell’amicizia in un mondo che ormai l’ha confusa con i cuori sui social; dai divieti allegorici, morali e pratici di Pitagora si passa al vertiginoso immobilismo eleatico che “non mi concede nemmeno il conforto di una lista di precetti a cui attenermi (l’unico che si è salvato dalla corruzione del grande poema di Parmenide mi ingiunge di abbandonare il mondo dell’opinione e di non affidarmi che alla verità: come se fosse facile)” ribaltando spesso stereotipi e riduzioni: “La vera sorpresa della settimana epicurea è che proprio quando mi aspettavo di trasformarmi in un’allegra debosciata impenitente finisco per comportarmi come una vecchina mansueta e frugale”.
C’è molto umorismo nel raccontare lo stoicismo in cucina o lo scetticismo nel farsi restituire un libro dal proprio ex, ma si tratta sempre d’umorismo serio, proprio perché impegnato ad applicare sfide etiche e conoscitive alla nostra zoppicante vita quotidiana, pensandola da un altro angolo. E’ l’occasione per scoprire nodi che non sospettavamo (“eppure spegnere le attese, me ne accorgo ora, non è per niente facile. Non è facile realizzare questo rovesciamento, questa rivoluzione dei tempi e dei modi della felicità. E come se di punto in bianco dovessi dimenticarmi che esiste il congiuntivo, riportare tutto a un eterno indicativo, presente, passato e anche futuro”) ma anche insospettate ricchezze (“ho considerato fallimenti i momenti di immobilità, di silenzio, i momenti inutili; mi sono parsi sprecati e invece, forse, erano solo più veri”). Si ride del filosofo che cade perché non guarda per terra, ma si impara a diffidare anche di chi lo irride in nome d’un senso comune che spesso annebbia e impedisce modi più autentici di coltivare “l’impresa di vivere”. Jean Guitton sostenne che in fondo la scuola dovrebbe essere proprio “il luogo in cui si insegna il tragitto più lungo per andare da un punto a un altro”. Ilaria Gaspari ci propone a sua volta di deviare dalle strade maestre che già conosciamo e provare a svoltare, mentre Diogene sghignazza mordace al nostro fianco o Epicuro ci sorride negli strazi della malattia. Per una settimana o per tutta la vita.