Cacciato Sullivan, il preside di colore che aveva difeso in aula Weinstein
I maccartisti ad Harvard licenziano uno dei nemici del #Metoo dopo una petizione degli studenti
Roma. “Il nuovo maccartismo arriva a Harvard. Il licenziamento di Ronald Sullivan mi ricorda i vecchi tempi in cui gli avvocati venivano licenziati per aver rappresentato i comunisti”, ha scritto il giurista Alain Dershowitz, dopo aver appreso che il collega di facoltà era stato sospeso dal suo ruolo di decano della Winthrop House. Qualcosa di straordinario è successo a Harvard due giorni fa: un famoso professore nero, definito dal New Yorker “uno dei maggiori penalisti d’America”, un giurista che non aveva fatto nulla di sbagliato, è stato rimosso da una posizione universitaria molto prestigiosa. Ma ricapitoliamo.
Sullivan è il primo professore di colore a ricoprire quella posizione, è stato consigliere della campagna dell’allora senatore Barack Obama sulla giustizia penale, ha rappresentato la famiglia di Michael Brown contro la città di Ferguson e i media liberal come l’Huffington Post lo hanno elogiato così: “Un eroe sconosciuto in mezzo a noi: Ronald S. Sullivan Jr., l’uomo che ha inflitto il più grande colpo alla carcerazione di massa”. Non solo, ma Sullivan ha pure difeso in aula l’attrice Rose McGowan, la prima accusatrice di Harvey Weinstein, quel Weinstein di cui Sullivan ha poi assunto la difesa in tribunale. E gli è costata la prestigiosa carica.
“È giusto intraprendere una difesa di così alto profilo?”, aveva detto Diana Eck, docente di Studi religiosi e preside di facoltà. Tutti scandalizzati che un avvocato facesse il suo mestiere a beneficio di quel porco agli steroidi, nel cui team legale c’è anche Dershowitz. Così gli studenti di Harvard, l’Associazione delle donne di colore di Harvard e l’amministrazione di Harvard si sono coalizzati per avere la testa di Sullivan. Scritte vandaliche contro il professore erano apparse nei muri della facoltà. “Abbasso Sullivan”, “da che parte stai?”, “la nostra rabbia è autodifesa”, fra gli altri. Sullivan e la moglie, Stephanie Robinson, erano i primi afroamericani decani della facoltà nella storia di Harvard. Ci sono stati anche sit-in studenteschi. “Vuoi davvero accettare il tuo diploma da qualcuno che, per qualsiasi motivo, professionale o personale, crede che vada bene difendere una figura così importante al centro del movimento #MeToo?”, ha scritto uno studente, Danu Mudannayake, in una petizione. E l’amministrazione di Harvard ha capitolato ai bulli.
Sabato, il decano dell’Harvard College, Rakesh Khurana, ha inviato una email agli studenti e ai membri dello staff della Winthrop House, informandoli che non avrebbe rinnovato l’incarico a Sullivan, che ha commentato: “Siamo sorpresi e costernati. Mai nella storia della facoltà la posizione di decano era stata sottoposta a revisione nel mezzo di alcune polemiche”. Sullivan si era già fatto a dicembre un nome come “nemico del #MeToo” quando aveva sollevato dei dubbi sulla cacciata di un altro professore, Roland G. Fryer, Jr., una superstar dell’economia, “genio” MacArthur e uno dei più giovani professori di Harvard, cacciato per atteggiamento sessista. “Questo mostra ciò che l’attuale movimento #MeToo può produrre”, aveva detto Sullivan. Poi è toccato a lui.
A nulla sono servite le firme di 52 professori della Facoltà di giurisprudenza a sostegno di Sullivan, che si è fatto un nome nella giurisprudenza americana per la sua abilità di rovesciare in aula giudizi errati. Ma per Weinstein non deve valere la presunzione di innocenza. #MeToo vuol dire anche tu. Vuol dire tutti. Un sabba in cui siamo tutti sopravvissuti e tutti colpevoli, fino a prova contraria. E, come recita l’adagio, il silenzio è violenza.